Esattamente dieci anni fa un violentissimo tsunami si abbatteva sull’Oceano Indiano, colpendo 14 Paesi, uccidendo circa 230mila persone e lasciandosi dietro 1,7 milioni di sfollati. Era il 26 dicembre 2004. La catastrofe è stata enorme. Ma all’onda distruttrice è seguita una risposta senza precedenti, sia in termini di reattività sia di entità degli aiuti, della macchina della solidarietà. A illustrarlo nel dettaglio è il rapporto “Lo tsunami, 10 anni dopo” diffuso dalla ong internazionale Oxfam, che è stata in prima linea durante quell’emergenza. Per far fronte al disastro umanitario e ai bisogni di circa 5 milioni di persone colpite, nei giorni e mesi successivi alla catastrofe sono stati raccolti da parte della comunità internazionale 13,5 miliardi di dollari. Con un contributo da record del settore privato: il 40% dei fondi, pari a circa 5,5 miliardi di dollari, è stato donato da cittadini, imprese e fondazioni. Si tratta della più ingente raccolta di risorse private della storia. “Sicuramente ci sono vari fattori che hanno contribuito a questa grande risposta da parte dei privati – spiega Sabina Morosini, responsabile ufficio Asia di Oxfam Italia -. Innanzitutto è stata una calamità di portata eccezionale, che ha messo sotto shock il mondo intero. Poi il coinvolgimento di tanti turisti ha colpito molto l’opinione pubblica e coinvolto tanti Paesi anche sull’onda emotiva personale. Fondamentale è stato anche il ruolo giocato dalla grande copertura che l’evento ha avuto da parte dei mass media”.

Sei mesi dopo il disastro la maggior parte dei servizi erano stati ripristinati 

Grazie alla cifra raccolta è stato possibile intervenire da subito con risultati notevoli. Sei mesi dopo il disastro la maggior parte dei servizi erano stati ripristinati e alcuni settori dell’economia erano già in fase di ricostruzione. Oxfam, con circa 294 milioni di dollari raccolti di cui il 90% proveniente da fondi privati, ha prestato aiuto a circa 2,5 milioni di persone, offrendo riparo, coperte e acqua potabile, ricostruendo pozzi, sistemi idrici e scuole e offrendo lavoro nell’ambito di progetti di sviluppo a circa 960mila persone in Somalia e Sri Lanka. “Tutte le emergenze insegnano qualcosa – spiega Morosini -. Per noi è stato fondamentale lavorare sul tessuto sociale, che dà stabilità. Per questo abbiamo prima di tutto ricostruito scuole e aiutato cooperative di donne e pescatori”.

La mobilitazione non è la stessa per tutte le emergenze. Dipende da copertura mediatica, tipo di catastrofe e vicinanza percepita con le persone colpite

La catastrofe dello tsunami è stata però di fatto anche un importante banco di prova per il settore umanitario e ha messo in evidenza diverse criticità. Uno dei principali problemi emersi riguarda una certa disomogeneità nella risposta e quindi nella distribuzione dei fondi: la mobilitazione non è la stessa per tutte le emergenze e spesso si rivela insufficiente per far fronte ad alcune crisi. Ne è un esempio il fatto che il Dec, una delle più grandi coalizioni di raccolta fondi del Regno Unito, in soli due mesi abbia raccolto per lo tsunami otto volte la cifra ricevuta per il Sudan, nonostante quella campagna sia durata quattro volte tanto. Non si tratta certo di una competizione, ma il rapporto Oxfam mette in luce come alcuni fattori possano influenzare pesantemente il livello delle donazioni da parte di privati e governi. Tra questi il battage mediatico: il disastro tsunami, per esempio, in due mesi ha avuto una copertura superiore a quella ricevuta in un anno dalle cosiddette crisi “dimenticate”. Ma per i privati rileva anche la percezione dell’impatto che gli aiuti possono avere, il tipo di emergenza – il rapporto segnala che le persone sono spinte a donare di più in caso di disastri naturali – e il livello di “vicinanza” e identificazione con le persone colpite. Per quanto riguarda i governi, invece, giocano un ruolo importante la pressione internazionale e fattori strategici sul piano geopolitico ed economico.

Le risorse, poi, continuano a essere nel complesso insufficienti. Nel 2013 gli appelli coordinati dalle Nazioni Unite hanno permesso di raccogliere 8,5 miliardi di dollari, pari a solo il 65% di quanto sarebbe stato necessario. Altre criticità sono rappresentate poi dallo scarso coordinamento sia tra gli enti stessi sia con i governi locali per gestire le fasi di emergenza e quelle successive, dalla necessità di coinvolgere maggiormente le fasce di popolazioni più deboli e dai troppo scarsi investimenti nella riduzione dei rischi derivanti dai disastri naturali. “Nei Paesi colpiti dallo tsunami ora sono stati sviluppati sistemi di allarme – conclude Morosini – ma per prevenire sono fondamentali anche la continuità della collaborazione con le autorità locali, più sensibilizzazione delle persone e un grande lavoro sull’ambiente”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Filantropia, arriva anche in Italia il consulente per i “grandi donatori”

next
Articolo Successivo

Terzo settore, Manes: “Il piano? Una nuova Iri del sociale con fondi privati”

next