Diritti

Welfare, il tempo del darwinismo sociale

“Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.

Non si tratta del manifesto di qualche minuscolo partito d’opposizione. No. È l’art.25 comma 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata nel 1948 dalla Assemblea Generale dell’Onu.

L’ho ritrovata ieri, leggendo un bel libro di Luigi Ciotti, “La speranza non è in vendita”. Ho ripensato allo smantellamento progressivo dello Stato sociale, alle giovani generazioni che stanno accettando l’idea che anche la sanità debba essere proporzionale alla capacità reddituale dei singoli cittadini, che non ci siano risorse sufficienti per consentire l’allargamento delle tutele a tutte le tipologie di lavoratori. Che la scure debba abbattersi “giustamente” sulle regioni che hanno dimostrato pessime capacità di spesa, inducendo indirettamente la chiusura di ospedali ormai ridotti a scheletri vuoti. È uno scenario di darwinismo sociale che nasconde una brutalità oscena. Che ha creato il fenomeno triste del “migrante della sanità”. È un metodo inefficace perché non interviene sulle cause. Come certi farmaci sintomatici inodonei a curare malattie cronicizzate.

Quel testo delle Nazioni Unite dimostra, inequivocabilmente, che uno Stato che non riesce a garantire, per tutti, l’opportunità di un lavoro, l’assistenza sanitaria, la formazione e i mezzi di sussistenza minimi indispensabili, non è uno Stato degno di esser chiamato tale. Uno Stato che non è nelle condizioni di garantire per tutti delle condizioni di vita dignitose perde anch’esso la sua dignità, anche se si cerca di mistificare i tagli dolorosi chiamandoli con nomi anglosassoni, solo per non consentire l’agevole comprensione da parte di tutti i cittadini. Soprattutto gli anziani che l’inglese, ad esempio, non lo hanno studiato.

L’Onu non parla di assistenzialismo. Parla di diritti fondamentali. Le due cose oggi vengono confuse volutamente, per intimorire chiunque abbia la sensibilità sufficiente a scandalizzarsi di fronte all’impoverimento progressivo della popolazione, soprattutto a seguito della crisi. Dovuto soprattutto al malgoverno e alla corruzione che a vari livelli alberga nel nostro Paese. E in questo campo  non ci sono distinzioni tra Nord e Sud geografico. Come dimostrano Mose Expo e Mafia Capitale.

“Cosa si forma nella testa di un bambino che vede alunni della sua classe esclusi dalla mensa scolastica perché i genitori non sono in grado di pagare la retta, o che da un giorno all’altro non trova più il compagno di banco perché la sua famiglia è stata colpita da uno sfratto o da uno sgombero e ha dovuto trasferirsi altrove?”,chiede giustamente Don Ciotti.

Si convincerà che i suoi genitori sono migliori? O del fatto che egli stesso è geneticamente migliore del suo compagno? Di sicuro non sarà educato a scandalizzarsi di fronte all’incapacità di accoglienza della sua gente. Che costituisce il vero dramma. E dico “scandalo” ripescando la parola evangelica skàndalon, che indica la pietra di inciampo, la trappola. Quella trappola lungo le cui pareti scivolose sta precipitando la nostra capacità di pretendere i servizi essenziali, sempre più scarnificati. Il lento degrado della società verso le soglie del disumano.

Dico pretendere. Non chiedere. Non si tratta di assurde pretese, va ribadito con forza. Ma di diritti essenziali.

Cerco una risposta più autorevole nel libro di Ciotti: “Provo un senso di “rabbia” quando leggo che di fronte ai tagli alla spesa sociale, alla drammatica riduzione delle risorse destinate ai più deboli e fragili, si continuano a spendere miliardi di euro ogni anno in armamenti. È insopportabile l’ipocrisia di chi continua a dire che non ci sono soldi per i servizi sociali, che non ci sono i soldi per la lotta alla libertà, che non ci sono i soldi per chi non ha lavoro. Non è vero! I soldi ci sono, ma vengono spesi per acquistare missili e aerei da combattimento…”

E le conferme vengono dal fiume di denaro coinvolto nel recente scandalo romano. Dove i fondi destinati all’accoglienza dei Rom sono diventati – pare – occasione di diverse tipologie di profitto. Mai di accoglienza. Perché la marginalizzazione fa comodo. Conviene.

E poi le occasioni perse per un reale cambiamento nel Paese. Il famoso provvedimento degli “80 euro” dimostra l’incapacità di sentire il polso dei reali quadri esigenziali. Ci sono milioni di ragazzi in cerca di lavoro, figure di lavoratori che non hanno le minima tutela in caso di gravidanza, malattia, licenziamento. E il nostro governo si arrocca nella tutela di chi quei diritti li ha già tutti. A fronte della indiscutibile necessità di estendere le tutele dello Stato sociale a queste nuove categorie di lavoratori, si discute e ridiscute sull’Art. 18. Ossia si intende ridurre le tutele anche a chi ce le ha. Praticamente l’esatto opposto rispetto a ciò che si dovrebbe fare.

A fronte delle tante fabbriche che chiudono e riescono a far sentire la propria voce – per qualche giorno – sui media, ci sono milioni di contratti che continuamente finiscono nel vuoto e il singolo precario non ha alcuna risonanza perché resta solo. E uno vale uno, purtroppo. Tutto si esaurisce nell’arco di qualche telefonata a genitori e amici stretti. Nella solitudine e nell’alienazione.

A tutti questi emarginati intendo dedicare i miei auguri. Con l’auspicio che non ci si stanchi mai di pretendere il soddisfacimento dei minimi fabbisogni per sé e per i propri bambini. Non riuscirò mai a vergognarmi abbastanza per tutti coloro che gestiscono le leve del potere e non si “scandalizzano” di fronte alla crescente marginalizzazione dei giovani. Ormai anche laureati.

Desidero chiudere il mio post con ricordando le parole scomode di un grande vescovo del Sud. Un uomo che ha amato i più deboli. Che è stato grande proprio nella sua incommensurabile umiltà. Fino a recarsi a Sarajevo, in Bosnia, malato di cancro, a capo di 500 persone, per una memorabile marcia della pace. Quella assurda guerra in cui i cristiani decapitavano i musulmani… Più di 20 anni fa. La brutalità e il fanatismo non hanno una religione di preferenza…

Egli scrisse dei memorabili “auguri scomodi”, che intendo citare: “Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio. Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate”.

Il mio augurio migliore è quello di non praticare sconti sulle utopie. Come ci insegnò Don Tonino…