Alberi di Natale non ce ne sono, ma per i residenti di via Fioravanti a Bologna “avere un posto caldo dove dormire è comunque un regalo”. Mohammed, Salah, Mouna, Silvia, Stefano: in 280 lo scorso 4 dicembre hanno deciso di occupare l’ex edificio Telecom che si affaccia su piazza Liber Paradisus, dove si trovano i nuovi uffici del Comune. E per una ragione: “Non sapevamo dove andare”. Salah ha 31 anni ed è arrivato in Italia che era un ragazzino. Oggi è padre di due bimbi, il più piccolo ha 2 anni, la più grande tre e mezzo, ma sua moglie è incinta e ad aprile nascerà il terzo figlio. Ha sempre lavorato nella logistica come facchino, assunto dalle cooperative che muovono le merci in arrivo all’Interporto, ma lo stipendio, in nero o con contratti a termine, non bastava a pagare l’affitto, e tra la crisi che ha reso il suo impiego sempre più saltuario, e la mancanza di risparmi, alla fine è rimasto senza casa.

“Prima di trasferirmi a Bologna vivevo a Monzuno (Bo), ho chiesto aiuto agli assistenti sociali, che mi hanno proposto una roulotte – racconta – ma era difficile viverci tra topi e umidità. Due anni dopo, arrivato a Bologna, ho fatto domanda per un alloggio popolare, ma il mio Isee, che non arrivava a 7.000 euro annui, era considerato troppo alto, e mi hanno mandato via”. Dal 4 dicembre, quindi, con la sua famiglia occupa un ex ufficio al secondo piano di via Fioravanti, col timore che la polizia arrivi un giorno a sgomberarli. “Qui sto bene, non c’è l’acqua calda ma abbiamo il riscaldamento, un tetto sulla testa. Per mangiare ci aiuta la Caritas, e anche se mi piacerebbe comprare qualche dolcetto per i miei bambini abbiamo quello che ci serve”.

“Qui sto bene, non c’è l’acqua calda ma abbiamo il riscaldamento, un tetto sulla testa. Per mangiare ci aiuta la Caritas”

Pochi passi più avanti, lungo lo stesso corridoio, c’è la stanza che Mouna divide con i suoi tre figli, iscritti alla scuola del quartiere. Classe 1972, di origini marocchine, Mouna arrivò in Italia nel 1995 e iniziò subito a lavorare. “Prima abitavo in provincia di Ferrara e facevo la commessa in una salumeria – ricorda – poi però ho perso il posto e nonostante i lavoretti saltuari non sono riuscita a mantenermi”. Così alla fine ha perso anche la casa. “Per affittarmi un appartamento volevano delle garanzie ma io sono senza tetto, e non potevo offrirle. Sono stata ospite da un’amica, poi ho affittato una cameretta di 3 metri per 4 in via Tibaldi a Bologna, e infine ad agosto mi sono rivolta a Social Log”. 

Nato nel 2013 come sportello per il diritto alla casa, in un anno ha raccolto oltre 500 segnalazioni di famiglie in difficoltà. “Oggi siamo di fronte a una vera e propria emergenza – racconta Francesco Bondi di Social Log – dopo 7 anni di crisi economica anche chi aveva qualche risparmio da parte l’ha esaurito, e se manca il lavoro è difficile andare avanti. Questa occupazione, quindi, è una risposta per le tante famiglie che vivevano per strada, ma anche una denuncia: la casa è un diritto, e va garantito a tutti. Per ora non abbiamo avuto contatti con il Comune di Bologna, noi comunque rimarremo qui, e dopo Natale vedremo cosa succederà. Continueremo a occupare, almeno finché in città ci saranno famiglie senza una casa, e case senza famiglie”.

Tra i 76 nuclei che vivono in via Fioravanti, con 103 minori a carico, ci sono sia stranieri, sia italiani, tutti con uno sfratto alle spalle

Tra i 76 nuclei che vivono in via Fioravanti, con 103 minori a carico, ci sono sia stranieri, sia italiani, tutti con uno sfratto alle spalle. L’ex palazzo Telecom è grande, circa 10.000 metri quadrati abbandonati da una decina d’anni, e ogni nucleo famigliare ha la sua stanza sistemata a mini appartamento. “Un edificio di queste dimensioni lasciato al degrado per tanti anni erauno schiaffo alla miseria – sottolinea Bondi – vorremmo adibire il primo piano a spazio comune, magari con un’area per i bimbi. Vedremo se ci lasceranno rimanere”.

Tra le 2.000 famiglie che quest’anno hanno ricevuto lo sfratto esecutivo sotto le Due Torri c’è Stefano Venturi, un ex artigiano bolognese che ha perso la sua attività a causa della recessione. Papà di un ragazzino affetto da autismo, aveva provato a chiedere l’alloggio popolare, ma senza reddito non si può accedere alla graduatoria. E c’è Silvia, maestra elementare, che fino a qualche tempo fa lavorava come insegnante di sostegno. Poi però è rimasta disoccupata, ed è stata anche mandata via dalla sua casa. “Non occupiamo per fare un dispetto a qualcuno, ma perché non abbiamo alternative – precisa Mohammed, 34 anni – io ho fatto il cameriere per tanti anni, e prima il lavapiatti, ma non basta avere voglia di lavorare. Mi chiamano per qualche fine settimana, quando c’è bisogno, ma così non si paga l’affitto. In vita mia non avevo mai pensato che un giorno sarei finito a occupare abusivamente un edificio, ma quando non hai una casa, o i soldi per mangiare, come fai?”.

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