L’espressione minacciosamente corrucciata sulla faccia di bull-dog Maurizio Sacconi era il manifesto ambulante degli intenti vendicativi che motivavano parte degli assalitori dell’articolo 18 (dello statuto dei lavoratori del tempo che fu); a cui nulla interessa dello specifico in questione, visto che l’intento è prendersi una rivincita su chi in gioventù gli aveva fatto ingoiare polvere e gonfiare il fegato di bile. In larga parte, schiera composta da sopravvissuti ai naufragi del craxismo. Infatti il Sacconi è un antico enfant prodige del PSI al tempo dell’Italia “da bere”; eletto deputato nel 1979 a soli 29 anni e subito intruppato come apprendista nella banda del Lider Maximo. Gente che masticava amaro per l’egemonia dell’allora PCI, che vissero l’ultima battaglia di Enrico Berlinguer sulla “questione morale” e la mutazione genetica del ceto politico in corporazione di potere (la futura “Casta”) come un vero e proprio affronto personale.
Dato che nel frattempo il Partito Comunista è scomparso e con lui la Sinistra politica, ci si può prendere tardive rivincite e relative soddisfazioni sadiche prendendosela con quello che resta della Sinistra sociale: bastonando la parte ancora combattiva del sindacato e gli odiati “ultimi mohicani di fabbrica” (il lavoro manuale, che nel passato ormai lontano fu la massa di manovra per infliggere pesanti sconfitte e cocenti umiliazioni a quei socialisti, penetrati nella stanza dei bottoni per poi smarrirsi negli “ozi di Capua” del tempo. E le ferite bruciano ancora!). Sicché, sul terreno del farla pagare ai sindacati, i paleo-craxiani, rimessi a nuovo da un passaggio nel berlusconismo, trovano altri compagni di strada: i falchi di Confindustria; alcuni ormai spennacchiati e con un principio di Alzheimer, ma tutti con addosso ancora la fifa blu provata al tempo degli “autunni caldi”, ormai virata a proterva volontà di rivalsa.
Il guaio per falchi e zombi (del PSI) è che il premier pensa ad altro che a rifare il CAF (l’alleanza Andreotti-Craxi-Forlani, nata dal comune intento di incaprettare Berlinguer e tagliare le unghie alla Sinistra). L’aria furbetta/compiaciuta di Matteo Renzi (“svolta storica”, trionfaleggia) nasce dal fatto che ritiene di aver compiuto un passo importante per il consolidamento del suo potere personale, mandando un segnale ai “poteri forti” internazionali: lo sgombero del campo da ogni impedimento, contrappesi e – dunque – controlli al libero dispiegarsi del business, nella sua prevalente natura finanziario-speculativa. Sicché gli scalpi dei lavoratori e dei residui del sindacato rivendicativo qui servono per strategie d’immagine; a consolidamento di un regime che sembrerebbe muoversi lungo le rotte tracciate dal capo della P2 Licio Gelli: il suo Piano ironicamente detto “di rinascita democratica”.
Che questo significhi la definitiva liquidazione degli assetti costituzionali nati dalla Resistenza non tocca minimamente i diversi cultori del ecchisenefrega, siano essi antichi risentiti o giovani apprendisti stregoni degli incantamenti controriformisti.
Molte le possibili lezioni. Una va dedicata ai “lotofagi” e ai “bambini sperduti dell’isola che non c’è” che frequentano questo blog. A cui si è fatto credere che nel campo politico non esistono più i dualismi. Un tempo si chiamavano destra/sinistra. Oggi – visto il discredito da collusività della Sinistra organizzata – si preferisce parlare di sopra/sotto, alto/basso. Solo una sottigliezza terminologica, perché lo scontro è insito nel sistema delle disuguaglianze in cui siamo immersi: inclusione (tradizionalmente Sinistra) contro esclusione (vulgo Destra). E per coglierne il senso urge recuperare la cassetta degli attrezzi politici; le categorie che lo sciocchezzaio acchiappatutto di qualche guru riccioluto (e destrorso) pretendeva di accantonare.