Da Ciro Esposito a Genny a 'Carogna, dagli stadi vuoti alla zuffa dei diritti tv, da Optì Poba al cafonal di Ferrero: il calcio di casa nostra ai minimi di credibilità. "E possiamo ancora raschiare il fondo" dice Conte
Per il calcio italiano è stato un anno avaro di soddisfazioni sportive e ricco di gattopardesche rivoluzioni e pittoresche figure. Con una data cerchiata in nero sul calendario, il 3 maggio. È il giorno in cui il calcio avrebbe dovuto eleggere la vincitrice della Coppa Italia e invece il Paese si è ritrovato a piangere un tifoso napoletano, Ciro Esposito, ucciso a colpi di pistola sulla via dell’Olimpico tra storie di ultras e delinquenza comune, mentre all’interno dello stadio i telespettatori scoprivano la controversa figura di Genny ‘a Carogna, poi arrestato il 22 settembre. Termini e personaggi interni o affini al vocabolario del calcio italiano che nell’edizione 2014 ha inserito anche il neologismo Optì Poba, coniato in estate da Carlo Tavecchio. Dicesi Optì Poba un calciatore che prima mangiava le banane e ora pur non giocando realmente nella Lazio ha permesso di realizzare una mega plusvalenza al suo presidente, Claudio Lotito. Le sue orazioni in favore del futuro presidente della Figc gli sono valse una rapida ascesa nei salotti federali e sui charter della Nazionale, dove siede Antonio Conte, coup de théâtre dei nuovi gestori del vaporetto azzurro. Chiamato a rianimare un’Italia svuotata dal fallimento mondiale, il commissario tecnico cerca ora sponde nei club, da Massimo Ferrero ad Andrea Agnelli passando per Erick Thohir. I presidenti nicchiano tra un giro in Mosquito a Ostia Lido, una proposta di perdono per Luciano Moggi e acrobazie finanziarie per far quadrare i conti. Mentre la stagione è appena a metà e solo la Juventus siede tra le migliori sedici squadre d’Europa.
Disastro Mondiale – Però il 6 giugno la spedizione mondiale degli azzurri era comunque iniziata con toni prossimi al trionfalismo, salvo chiudersi nel peggior modo possibile. Eliminazione a primo turno, lo smacco costaricense e uno strascico di polemiche nel quale la diatriba tra alfieri e nuove leve della Nazionale non è stato che il sintomo più leggero. Il k.o. fatale contro l’Uruguay ha innescato una valanga ingrossatasi nel giro di pochi minuti. Tutto in mezz’ora: Buffon e il resto della vecchia attaccano Mario Balotelli, Prandelli saluta, Abete lo segue a ruota. Fuori dalla Coppa del mondo, l’Italia si ritrova senza guida politica e con i due simboli morali della ricostruzione dopo il disastroso Mondiale sudafricano caduti nella polvere. Giù dal piedistallo il Cesare azzurro, crollato assieme al suo cavallo di battaglia, quel SuperMario molto Mario e poco super messo al centro del progetto tecnico dell’allenatore bresciano e portabandiera di una Nazionale multiculturale ed etica. E nelle settimane successive, mentre i due si accasavano in Turchia e Inghilterra in cerca di riscatto (non trovato), l’Italia ripartiva da un uomo solo al comando.
Tavecchio a Roma, Conte a Coverciano – Eletto l’11 agosto nonostante Optì Poba e l’ostruzionismo del rottamatore Agnelli, Tavecchio ha subito piazzato il colpo a sorpresa, convincendo Antonio Conte a prendere casa a Coverciano, una manciata di chilometri da Siena che al tecnico salentino ricorda la promozione in A ma anche la squalifica nell’affaire calcioscommesse. In tempi di magra per le casse federali, l’aiuto economico è arrivato dalla Puma, sponsor tecnico degli azzurri. Sorrisi, strette di mano e pronte ripartenze per quattro mesi, ora l’idillio sembra già finito, appena in tempo per guastare l’unica nota positiva del 2014 sotto il profilo sportivo. Lo scontro che si sta consumando tra il ct leccese, le società e la Figc ha dato corpo alle voci di possibili dimissioni. Conte vuole gli stage, ha bisogno di vedere i suoi uomini, ha capito che con il materiale a disposizione servono lavoro e sudore per costruire un’Italia vincente (l’unica che gli interessa) agli Europei 2016. Alcune società rispondono picche, Juventus capofila a causa di un divorzio evidentemente non proprio pace e amore come era stato dipinto a luglio. L’unico a cantare fuori dal coro in estate era stato Zdenek Zeman. Le sue parole a Il Fatto Quotidiano furono chiare: “Conte è bravo ma in quel ruolo non lo vedo. È un allenatore. Ha bisogno del campo. Ha bisogno di urlare, di guardare in faccia i giocatori. Tutte cose che con i calendari attuali confinano con l’utopia”.
Re d’Europa, ma quella ‘b’ – Era agosto quando risuonò la profezia boema e l’Italia coltivava ancora la speranza di coccolarsi tre squadre in Champions League. A fine anno ci sfreghiamo le mani perché ne contiamo sei al secondo turno di Europa League, dimenticando che, in Champions, il Napoli ha perso ai preliminari e la Roma si è arresa alla fase a gironi. Solo la Juventus l’ha superata tra non poche difficoltà. Fino all’altro ieri, gli ottavi erano il campo base per le spedizioni vincenti delle milanesi, oggi aggrappate alla speranza di mettere piede tra le big europee attraverso il pertugio di riserva grazie alla lotta serrata con una nobile d’un tempo come il Genoa e la frizzante Sampdoria di Mihajlovic. Inutile chiedersi perché a San Siro (e non solo) ci mettano piede sempre meno tifosi, come testimoniano i dati sugli abbonamenti di questa stagione. Alzi la mano chi crede ancora che c’entri davvero solo la sterminata offerta televisiva, altro terreno di scontro e veleni degli ultimi mesi tra i colossi Sky e Mediaset. Proprio il Biscione, esclusivista Champions dalla prossima edizione, teme le possibili assenze di Milan e Inter, grandi generatrici di abbonamenti tv.
Ciclone Ferrero, che paga per tutti – Ne raccoglierebbe un numero minore la Samp, anche se il suo presidente è uno che fissa in alto lo share. E forse ha ragione lui, Massimo Ferrero, quando dice di sentirsi umiliato per i tre mesi di inibizione a causa di quel ‘filippino’ con cui ha apostrofato Thohir. L’espressione dalla cifra stilistica discutibile del presidente blucerchiato era perseguibile e punibile, allo stesso modo però dell’immaginario Optì Poba di Tavecchio, sui cui la giustizia sportiva ha sorvolato mentre l’Uefa qualche puntino sulle ‘i’ lo ha messo a ottobre. All’appello del ‘The best of’ manca solo Claudio Lotito. Un’ascesa prepotente quella del patron di Lazio e Salernitana, uomo votato all’iper-presenzialismo che ha scatenato la rete e punito con una carezza dalla Figc. Se l’è cavata con diecimila euro di multa per aver pesantemente “scherzato” sullo strabismo di Beppe Marotta, colpevole di lesa Lotità. La punizione annacquata della Federazione ha impedito al amministratore delegato della Juventus di procedere per vie legali rompendo la clausola compromissoria, un’autorizzazione che il dirigente bianconero aveva chiesto.
I propositi traditi di Abete e gli ‘auguri’ di Conte – Buona parte dell’Italia pensava che sulle macerie brasiliane si sarebbe costruito un nuovo giorno. “Si apra una riflessione. Spero in una decisione importante anche per il ricambio della politica sportiva”. Così l’ex presidente Giancarlo Abete si espresse al momento dell’annuncio delle sue dimissioni, in una notte buia a Natal. Quanta strada è stata coperta da allora e qual è la reale prospettiva l’ha sintetizzato pochi giorni fa ai microfoni di Rai Sport non un gufo né un disfattista: “E’ un periodo molto, molto critico. Abbiamo toccato il fondo, ma io dico che non è finita perché possiamo ancora scavarlo”. Parola di Antonio Conte.