Musica

Ronin, Santo Barbaro e Rococò: tre scelte “indie” per chiudere il 2014

Chitarre alla Calexico in "Adagio furioso" dei Ronin, l'urgenza di Ferretti e e il seme dei Joy Division in "Geografia di un corpo" dei Santo Barbaro; pennellate aspre di post punk in "Rococò" dei marchigiani Dadamatto

di Giuseppe Pagano

Dicembre è il mese dei bilanci, anche di quelli musicali. Webzine e riviste specializzate tirano le somme sui dischi migliori con le immancabili classifiche che, purtroppo, hanno il difetto di sorvolare in fretta sulle uscite di gennaio e su quelle di fine anno. Quindi, a dispetto delle frenesie da giudizi sommari, ci prendiamo tutto il tempo per soffermarci su tre dischi italiani recenti che meritano molta attenzione.

Iniziamo con i Ronin, un progetto musicale a formazione variabile guidato da Bruno Dorella, batterista dei Bachi da Pietra e degli OvO. A novembre la band ha pubblicato “Adagio Furioso”

Iniziamo con i Ronin, un progetto musicale a formazione variabile guidato da Bruno Dorella, batterista dei Bachi da Pietra e degli OvO. A novembre la band ha pubblicato “Adagio Furioso” (Santeria/Tannen Records), con una line-up di talenti totalmente rinnovata: il basso di Diego Pasini, la batteria di Matteo Sideri e la chitarra di Cristian Naldi. Il disco vede anche le pregevoli featuring strumentali di Nicola Manzan e Claudia Muratori, oltre al cammeo vocale di Francesca Amato. Nonostante l’ossimoro del titolo e i tanti chiaroscuri, la struttura sottesa a quest’opera non è contraddittoria, infatti partecipiamo ad una ordinata transizione dalla quiete al furore, con episodi strumentali curati nei minimi dettagli e un solo pezzo cantato (Far Out) che divide in due il disco. In questa sintassi aperta è possibile ritrovare le chitarre dei Calexico, le tensioni di Morricone, i paesaggi mutevoli degli Slint. “Adagio Furioso” si potrebbe definire una colonna sonora per un film non ancora girato. Le tracce sono accomunate da un’attitudine prog, disinvolta nel glissare da ballate slow (La Cinese) a nevrastenie d-beat (Ex). Sarebbero piaciuti molto ad Elio Petri.

Non è passato inosservato il ritorno dei Santo Barbaro con “Geografia di un corpo” (diNotte Records)

Sempre a novembre non è passato inosservato il ritorno dei Santo Barbaro con “Geografia di un corpo” (diNotte Records). Questo progetto, guidato inizialmente da Pieralberto Valli e Franco Naddei, dopo una fase di temporaneo stop, si è allargato per accogliere la presenza di nove elementi. Da un conclave di appena tre giorni nel Cosabeat Studio è uscita la registrazione in presa diretta dell’intero disco. Un lavoro senz’altro coraggioso, perché si inoltra in un territorio che supera la forma canzone e persino gli stilemi classici del postpunk. Le liriche nichiliste di Valli sono schegge sospese che graffiano armonie apocalittiche, con un’urgenza analoga alle sentenze più drammatiche di Ferretti. Non è difficile ritrovare, sparsi tra i solchi del disco, i semi dei Diaframma, di Nick Cave, dei Joy Division. È difficile invece trovare nella musica italiana un tale sinfonismo dark-wave animato da una tensione poetica tanto viscerale. Dai momenti più punk (Corpo non menti) a quelli più distesi (Zolfo, Cosmonauta), questa “geografia” è una messa in requiem che canta la morte della mente a favore della redenzione del corpo, tempio vivente da cui nasce il suono.

Last but not least è “Rococò” (La Tempesta), quarta fatica in studio dei marchigiani Dadamatto: pennellate aspre di postpunk

Last but not least è “Rococò” (La Tempesta), quarta fatica in studio dei marchigiani Dadamatto. Le pennellate aspre di postpunk della band composta da Marco Imparato, Michele Grossi e Andrea Vescovi, si sono diluite ora in una tavolozza di tinte luminose e movimenti rapidi, alla maniera di un Tiepolo spinto da suggestioni post-prog, art-pop e psichedeliche. Il loro ultimo approdo è un album ricco, sfaccettato, che non sfocia però nella ridondanza gratuita. Pezzi come “Pluridimensionalità” o “Insieme” hanno la capacità di “sfondare le pareti” del quotidiano, come affreschi settecenteschi che raffigurano divinità alle prese con passioni umane. Ai broccati strumentali tessuti da irregolarità ritmiche (A due passi dal mare, Arrivederci) fanno da contrasto gli arpeggi asciutti de “I cinque dell’Ave Maria”, o i colori crepuscolari offerti dalla voce di Clementi dei Massimo Volume in “America”. Testi ora surreali, ora corrosivi, costituiscono un valore aggiunto nella loro ricerca artistica. Per tenere insieme questa varietà, i Dadamatto hanno posto un’alfa e un’omega, entrambi strumentali, in apertura e chiusura del disco. “Rococò” ha l’eleganza e la follia del dada, in un disco che ha il pregio di essere un antidoto alla decadenza.

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