È andata a finire così per il processo di appello per il malfunzionamento del depuratore di Torca e dei relativi sversamenti delle acque di Punta Campanella. Uno dei tasselli del puzzle di impianti scadenti e obsoleti che nel tempo hanno ridotto le acque della costiera sorrentina nello stato documentato da un fotoreportage del Wwf, pubblicato sul Fatto.it
Certo, non è il caso Eternit e nemmeno la discarica di Bussi. Ma anche dal mare di Sorrento giungono notizie preoccupanti sulla generale impunità che la prescrizione assicura ai reati ambientali. È andata a finire così per il processo di appello per il malfunzionamento del depuratore di Torca, frazione di Massa Lubrense, e dei relativi sversamenti delle acque nel Parco Marino di Punta Campanella. Uno dei tasselli del puzzle di impianti scadenti e obsoleti che nel tempo hanno ridotto le acque della costiera sorrentina nello stato documentato a fine agosto da un fotoreportage del Wwf, pubblicato su ilfattoquotidiano.it.
Il depuratore era in cura alla società che gestisce il ciclo integrato delle acque di 76 comuni della provincia napoletana e salernitana, la Gori. È un carrozzone pubblico-privato (partecipato al 40% da Acea e per il restante dagli enti pubblici locali raggruppati in Ato) dove comanda la politica che si spartisce incarichi e prebende, il cui attuale presidente è un ex parlamentare del Pdl e vice coordinatore campano di Forza Italia, Amedeo Laboccetta, del tutto estraneo ai fatti oggetto del processo, che ha riguardato invece gli ex vertici dell’azienda, quelli in sella a metà degli anni 2000.
In primo grado i cinque imputati erano stati condannati a otto mesi di reclusione (pena sospesa) dal giudice monocratico Fernanda Iannone del tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento. In secondo grado la prescrizione ha cancellato il reato di danno ambientale. Tra i “salvati” ci sono l’ex presidente dell’Ato sarnese vesuviano Alberto Irace, piazzato lì in quota Ds (oggi Pd), e l’ex amministratore delegato di Gori Stefano Tempesta. Assoluzione piena per tutti dall’accusa di aver consentito lo sversamento senza le autorizzazioni della Provincia di Napoli. Al processo si è costituito parte civile il Wwf. Hanno rinunciato a farlo l’Ente Parco Marino e il Comune di Massa Lubrense.
In primo grado la sospensione della pena era stata “condizionata al risarcimento dei danni e all’esecuzione degli interventi di bonifica dei luoghi entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza”. Risarcimenti e bonifiche che vanno in fumo con le fiamme della prescrizione. Perché i fatti contestati risalgono a un periodo concluso il 29 giugno 2006, la data di dismissione del depuratore. Bisognava arrivare in Cassazione entro sette anni e mezzo da quella data. Traguardo mancato, nell’indifferenza degli organi di informazione locali, con eccezione del quotidiano Metropolis, l’unico a rendere noto l’esito del processo.
L’inchiesta prese il via nel 2007. Due anni prima sul rivo Zappino precipitò da Torca una impressionante cascata di schiuma bianca. Segnale di grave sofferenza di un impianto non a norma e affaticato dalle quantità fuorilegge di reflui provenienti da attività industriali e turistiche della zona. Le porcherie finivano nel mare dell’oasi protetta di Punta Campanella. Protetta dagli escursionisti occasionali, dai sommozzatori e dai pescatori senza licenza, ma non dagli scarichi inquinanti. Il processo e la condanna in primo grado non ha impedito ad alcuni imputati di proseguire luminose carriere. A cominciare da Irace, consigliere di amministrazione della “Fondazione “MezzogiornoEuropa”, il think thank dei fedelissimi di Giorgio Napolitano. Irace recentemente è diventato amministratore delegato di Acea spa a Roma, su input del sindaco Ignazio Marino, dopo essere stato ad di Publiacque Spa, azienda che si occupa del ciclo idrico a Firenze e in tutta la Toscana.
Il presidente Wwf costiera sorrentina, Claudio D’Esposito, chiede se “valga ancora la pena denunciare i reati ambientali” e ricorda che la prescrizione è già intervenuta nel cassare il procedimento penale sul cattivo funzionamento del depuratore di Marina Grande a Sorrento. “Purtroppo prendiamo atto che in Italia la via giudiziaria per la difesa dell’ambiente è fallimentare. Ancora una volta gli inquinatori sono stati assolti per prescrizione ed è stato violato il principio comunitario fondamentale ‘chi inquina paga’. Questa sentenza è un vero e proprio schiaffo ai cittadini: il nostro mare è stato pesantemente inquinato ed è stata messa in pericolo la salute dell’ecosistema e dei bagnanti. È assolutamente avvilente per gli ambientalisti riuscire ogni volta a dimostrare di avere ragione ma senza che, alla fine, nessuno paghi per avere avvelenato il mare, la terra e l’aria”.