Il film, giudicato dai critici scadente, appartiene al filone della commedia dell’assurdo ormai tanto caro ad Hollywood ed al suo pubblico, e che ha regalato agli americani film come Neighbors, privi di una trama, ma densi di situazioni comiche surreali che simboleggiano la banalità della vita quotidiana in un’America totalmente concentrata su se stessa, dove l’estero come il diverso appartengono ad un altro sistema solare. Poche di queste pellicole hanno avuto un grande successo nei cinema, ma molte sono popolari sul piccolo schermo.
A detta dei critici The Interview fa parte dei B movie di questa categoria, quei film che se riescono ad arrivare nelle grandi catene dei cinema ci restano meno di una settimana. Tuttavia, la polemica costruita intorno al tema del film, l’assassinio del dittatore nord coreano e la presunta risposta di costui, lo ha trasformato in un best seller. Il fatturato è infatti stato di un milione di dollari nel primo giorno in cui è stato possibile vederlo in un piccolo numero di cinema negli Stati Uniti. Ma non basta, incuriositi dalla polemica milioni di persone hanno guardato il trailer del film su youtube ed hanno deciso di pagare i 6 dollari per scaricarlo e goderselo a casa. Così la Sony invece di un flop si è ritrovata in mano un film da cassetta.
Potere della propaganda. Il clamoroso successo di The Interview è legato all’identificazione della pellicola con il sacrosanto principio della libertà di parola, un gemellaggio ottenuto grazie alle presunte minacce ed all’hacking dei nemici nord coreani nei confronti della Sony, la casa di produzione del film. Presunte perché fino ad ora nessuno ha potuto dimostrare che siano stati veramente loro a penetrare nel sistema informatico della Sony ed ad esporre i vizi capitali di chi gestisce la società giapponese a Los Angeles. Piuttosto, sembra probabile che sia stata una ex impiegata della Sony, che lavorava nel settore della sicurezza, licenziata per motivi ancora sconosciuti.
Ancora meno informazioni si hanno sulle presunte minacce dei nord coreani nei confronti degli Stati Uniti qualora il film venisse mostrato nelle sale cinematografiche. Tuttavia per infiammare gli animi di patriottismo è bastato che nei blog della destra americana circolasse l’idea di una possibile guerra nucleare scatenata dai due comici americani ed il senatore McCain dicesse alla CNN che l’hacking della Sony era una dichiarazione di guerra contro gli Stati Uniti.
La pellicola offre l’occasione di rilanciare uno dei pilastri del sogno americano mentre da mesi questo crolla nei quartieri neri del Mid-West, l’anima del paese, dove poliziotti bianchi sparano a piccoli delinquenti neri – e persino ad innocenti. Ecco spiegato perché ha fatto gola anche alla Casa Bianca. E così il presidente Obama – deriso dai manager della Sony da quanto si evince dalle mail pubblicizzate dagli hacker – ha incitato questa stessa a sfidare i nord coreani ed a proiettare la pellicola in America. E questa decisione ha spronato gli americana ad andare al cinema per dimostrare il loro amore per la libertà di parola.
Se qualcuno avesse immaginato una situazione surreale come questa negli anni Settanta, quando in difesa della libertà di parola Hollywood produceva capolavori come Il Cacciatore o Apocalypse Now, film che denunciavano le atrocità commesse da Washington nel Vietnam e tenute nascoste alla popolazione, sarebbe stato non solo deriso ma accusato di stupidità. E’ infatti chiaro che il meccanismo della propaganda della Sony e della macchina politica americana nasconde rispettivamente interessi finanziari ed elettorali mentre non ha nulla a che vedere con valori come la libertà di parola che, ahimè, nel caso de The Interview molti confondono con lo scarso talento della Sony e del regista ed attori da questa assoldati.