Se ne va un altro anno senza che, in questo Paese, la tutela penale dell’ambiente (il che vuol dire la tutela tout court) sia ancora diventata una cosa seria. Non è una constatazione molto confortante per chi si è fatto anche solo un pur vaga idea del fatto che, invece, l’ambiente è una cosa seria. Non foss’altro perché, per rimanere in un’ottica di basso livello “antropocentrico”, dovrebbe esser ormai sufficientemente chiaro a molti che l’ambiente “ha qualcosa a che fare”, per così dire, con la salute o con la malattia di ognuno di noi.

Sono, infatti, ormai passati dieci mesi da quando la Camera dei deputati ha licenziato il disegno di legge che introduce i delitti contro l’ambiente nel codice penale. Si è già avuto modo di illustrare quel testo di legge su questo blog: i suoi presupposti, il suo contenuto, i suoi limiti e i rischi correlati, ma soprattutto le ragioni che quel disegno di legge, adeguatamente emendato, diventi legge dello Stato al più presto.

Sono trascorsi tre mesi e mezzo da quel post e, da allora, quelle ragioni sono solo cresciute, in qualità e quantità.

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Basti ricordare, in tal senso, lo schiaffo a qualche migliaio di morti da amianto (anzi, da Eternit) e ai loro cari costituito dalla sentenza della Cassazione che, poco più di un mese fa, ha opportunamente deciso che, dopo quelle vite, si sono estinti anche i reati che quelle migliaia di esistenze hanno spezzato, in particolare quello di disastro ambientale: per prescrizione, naturalmente.

Quella decisione luminosa per il diritto e per la giustizia riuscì addirittura a smuovere la morta gora della cosiddetta “opinione pubblica” nazionale, e quel giorno fu tutto un fiorire di solenni impegni di governanti e parlamentari ad approvare al più presto il testo di legge in diuturno letargo al Senato, giacché si era colto (nonostante le motivazioni di quel provvedimento non siano ancora note) che, per il futuro, non era (e non è) più il caso di procedere con le contestazioni di disastro ambientale in forza della norma del codice penale che punisce il cosiddetto “disastro innominato”, non essendo presente nel nostro testo fondamentale della giustizia penale lo specifico reato di disastro ambientale, per l’appunto.

Secondo i consolidati stilemi operativi degli uomini – annuncio che impreziosiscono la scena politica (specie di governo; ma non solo) di questo paese, disattivate le telecamere si è spenta anche, nella culla, quella fragilissima, quasi evanescente, creatura che in Italia sono gli “impegni politici”.

Ergo, il disegno di legge che ci occupa giace ancora inerte sui tavoli della “competente commissione” del Senato; grosso modo nella stessa posizione che occupava quasi quattro mesi fa.

Se, però, “la politica” (almeno nella sua componente di governo e di maggioranza, invero assai larga, com’è noto) continua a brillare per la sua inerzia, i segmenti più attivi del mondo, in senso lato, ambientalista si stanno muovendo e stanno tentando l’immane sforzo di far rinvenire dal sonno della ragione in cui versa da tempo quell’ineffabile entità che è, nei suoi tratti largamente egemoni, la rappresentanza parlamentare, specie di maggioranza, di questo Paese.

Operazione titanica quant’altre mai anche e soprattutto perché si scontra con le pressioni di segno opposto che sta esercitando in modo, più o meno sotterraneo ma non per questo meno incisivo, un altro, contrapposto, pezzo di “società civile”, di natura limpidamente confindustriale, il quale, com’è evidente, non ha grosso interesse né, men che meno, intenzione di rompere quella situazione di incantata inerzia in cui versa il progetto di legge.

E, com’è noto, nella società civile ci sono cittadini più uguali degli altri e, dunque, più “convincenti” degli altri nei confronti dei decisori politici.

Ragione in più per sottoscrivere la petizione diretta al Presidente del Senato per l’immediata approvazione del testo di legge in questione, con le dovute modifiche segnalate dalla dottrina penalistica più avvertita.

Anche e soprattutto in materia di tutela dell’ambiente e, quindi, della salute pubblica, i progetti per l’anno futuro devono essere: non dimenticare le conseguenze dell’impunità.

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