Alla fine ha deciso di “mollare il colpo”. L’idea iniziale di Sara Broglio, 32 anni, era quella di fare la ricercatrice e magari diventare professore universitario, ma le prospettive sembravano essere troppo poche per restare. Così, originaria di Milano, ma con una laurea, un master e un dottorato in ingegneria sismica a Pavia, ha fatto le valigie e un volo di più di trenta ore ed è atterrata a Christchurch, in Nuova Zelanda. La città, distrutta dopo tre grandi terremoti, aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile per essere ricostruita e Sara ha colto l’occasione anche per cercare di costruirsi una possibilità lavorativa, che nel suo Paese sembrava esserle preclusa.

Con lei è partito anche Tim, il suo compagno neozelandese, conosciuto durante il master internazionale che avevano frequentato: “Era un corso di studi molto buono, c’erano tanti professori stranieri e molti studenti internazionali, anche dalla Nuova Zelanda”. E con Tim non si è ritrovata a condividere solo il curriculum, ma anche gli stessi sentimenti di amarezza.

“Dopo aver discusso la tesi di dottorato e iniziato a fare ricerca, sempre con pochissimi fondi, ci siamo accorti che le cose non sarebbero cambiate di lì a poco – spiega Sara –. I professori in Italia ci avrebbero anche tenuti, eravamo benvoluti e volevamo bene ai nostri supervisori, ma non potevano prometterci niente e noi non vedevamo nessuno sbocco. I contratti che ci facevano non erano allettanti, avevano una durata di sei mesi per poi magari essere rinnovati, ma non avevamo stabilità. Così abbiamo deciso di cambiare quello che potevamo e siamo partiti”.

Questo, però ha significato stravolgere il piano iniziale: Sara e Tim si ritrovano a lavorare nell’industria come ingegneri strutturisti. “Non è stato un compromesso – specifica – abbandonare l’università ha significato portare quello che avevamo studiato e metterlo in pratica, ma questo non vuol dire che io abbia messo da parte l’idea di fare il professore universitario se ce ne sarà l’occasione. Penso che un buon insegnante debba avere un grande background teorico ma debba anche essere capace di sporcarsi le mani. Quindi non so se questo sarà il lavoro della mia vita o qualcosa da aggiungere al mio bagaglio, però per il momento mi piace”.

In Italia invece, tirava una brutta aria: “Non ho mai veramente ricevuto ‘porte in faccia’ – ammette Sara – ma vedere contratti rinnovati di sei mesi in sei mesi e la tristezza di non poter mettere radici da nessuna parte perché ‘non si sa come andrà a finire’, mi spaventava”. Ora vivere dall’altra parte del mondo la soddisfa e al contrario dell’Italia, “dove avevo casa, ma solo perché i miei genitori mi avevano aiutato”, Sara e Tim sono riusciti ad accendere un mutuo per comprare un’abitazione tutta loro dove andare a vivere con i loro due cani, uno dei quali “ha viaggiato con noi dall’Italia”.

Essere così lontana però ha sempre un risvolto negativo: “A volte ho nostalgia dei miei genitori e sono preoccupata del fatto di essere così distante: cosa potrei fare se dovesse succedere qualcosa a casa?”. E un po’ di amaro in bocca per come sono andate le cose rimane. E “anche se dopo due anni inizio a dimenticarmene”, per il momento nel suo futuro non c’è un aereo di ritorno: “Cerco di annusare l’aria che tira attraverso quello che mi dicono i miei parenti e i miei amici, ma adesso sto richiedendo la residenza. Ormai sono qui e vivo la mia vita qui, tornare non vale la pena adesso”.

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