Il direttore finanza Stefano Grassi prevede che il provvedimento in vigore dall'1 gennaio convincerà gli evasori a riportare in Italia "il 40% circa dei 200 miliardi di euro detenuti all'estero, quindi circa 80 miliardi". D'altronde "si tratta dell'ultima opportunità per regolarizzare le posizioni" evitando pesanti conseguenze penali
La nuova legge sul rientro dei capitali nascosti al fisco, che entrerà in vigore l’1 gennaio, porterà nelle casse dello Stato circa 15 miliardi di euro. La stima, molto più ottimistica di quella del governo che ufficiosamente spera al massimo in 6,5 miliardi, è di Banca Generali, l’istituto di credito del Leone di Trieste. Il direttore finanza Stefano Grassi, intervistato da Milano Finanza, si spinge a prevedere che il provvedimento farà rientrare nei confini della Penisola “il 40% circa dei 200 miliardi di euro detenuti all’estero, quindi circa 80 miliardi di euro”. Con un beneficio per l’Erario, considerate aliquote e sanzioni, “intorno ai 15 miliardi”, appunto.
A differenza della Fondazione nazionale dei commercialisti, secondo la quale i costi della regolarizzazione sono troppo alti e quindi rendono il rientro poco conveniente, Grassi sostiene che la voluntary sarà efficace perché “si tratta dell’ultima opportunità per regolarizzare le posizioni all’estero”. La “finestra” per aderire si chiude infatti il 30 settembre 2015 e a quel punto sarà pienamente operativo “lo scambio automatico di informazioni finanziarie con la maggior parte dei Paesi esteri”. Più che per mettersi l’animo in pace, dunque, gli evasori aderiranno per sfuggire alla spada di Damocle di “controlli fiscali molto mirati con conseguenze pesanti sia dal punto di vista amministrativo che penale”. Tanto più che l’esecutivo ha deciso di inserire nel decreto, che introduce per la prima volta nell’ordinamento italiano il reato di autoriciclaggio, anche la “carota” della non punibilità per quella fattispecie, sanzionata nei casi più gravi con il carcere fino a otto anni.
In più “la Svizzera sta chiudendo i conti non ufficializzati ed è vicino (ma se ne parla ormai da quattro anni e la firma non è ancora arrivata, ndr) l’accordo con l’Italia sulla trasparenza sui dati”. E l’ipotesi che chi non ha aderito ai precedenti scudi e ha ancora grossi capitali all’estero preferisca spostarli nei pochi “paradisi” rimasti? Possibile, ma la scelta secondo Grassi si rivelerebbe poco saggia: “Dovrà poi fronteggiare le incognite di reati fiscali e di potenziali indagini di riciclaggio molto dure, oltre ai rischi nell’affidarsi ad intermediari non affidabili, con elevato rischio di essere vittima di truffe. Con gli accordi Ocse per lo scambio di informazioni, sostanzialmente il cerchio sta diventando sempre più stretto per queste aree non regolarizzate”.
Quanto alle critiche relative alla “complessità delle analisi e del lavoro dei professionisti nel confrontare i dettagli delle posizioni con costi non irrisori”, il manager di Banca Generali nota che “nel futuro la mano del Fisco promette di essere ancor più dura senza peraltro l’opportunità delle protezioni che offre questa voluntary”. E le sanzioni sono comunque “ridotte”, soprattutto “se il periodo di possibile accertamento fiscale è prescritto, per esempio se i capitali si trovano in Svizzera da più di 8 anni”. Tutto sommato, è la conclusione, “riteniamo che i vantaggi dell’adesione siano superiori agli svantaggi”.