Cina e Russia hanno accantonato entrambe oltre 1000 tonnellate di metallo giallo. E, secondo alcuni analisti, in futuro proporranno di utilizzare per gli scambi commerciali una valuta che lo utilizzi come "collaterale". Intanto anche la Germania ha iniziato a riportare in patria riserve auree detenute all'estero
Da mesi le quotazioni dell’oro sonnecchiano a ridosso dei 1.200 dollari l’oncia, relativamente insensibili agli scossoni che hanno interessato i mercati. La calma che avvolge il metallo giallo potrebbe però essere solo apparente. Diverse banche centrali si stanno infatti dando un gran da fare per recuperare o accumulare lingotti. Movimenti che autorizzano addirittura a profetizzare il ritorno sul mercato di una valuta in qualche modo ancorata al metallo giallo. L’attività più frenetica è quella di Pechino. L’ultimo dato ufficiale sulle riserve cinesi risale al 2009 quanto le autorità dichiararono di possedere 1.054 tonnellate in lingotti, il doppio rispetto alla precedente comunicazione governativa del 2004. Il controvalore di queste riserve ai prezzi attuali è di circa 50 miliardi di dollari. Nel frattempo il gigante asiatico è diventato il primo produttore di oro a livello globale con una quota di oltre il 14% del totale, vale a dire circa 400 tonnellate sulle 3mila estratte ogni anno. Gli addetti ai lavori segnalano però come neppure un’oncia di questo oro lasci il Paese. Anzi, attraverso la porta di Hong Kong continuano ad affluire grossi quantitativi di metallo giallo. La produzione nazionale e l’import non finiscono solo in riserve, ma è molto probabile che la reale entità delle disponibilità cinesi si sia comunque molto accresciuta rispetto al dato del 2009.
La voracità di oro cinese è paragonabile solo a quella della Russia. La banca francese Société Générale ha segnalato come nelle ultime settimane Mosca sia stata costretta a vendere parte dei suoi lingotti sul mercato per far fronte al drammatico deterioramento delle condizioni finanziarie del Paese e al crollo del rublo. Ma negli ultimi anni i forzieri della banca centrale russa non hanno fatto altro che riempirsi. Nel 2010 lo Stato presieduto da Vladimir Putin ha razziato sul mercato qualcosa come 140 tonnellate, l’anno seguente altre 94. Lo shopping è continuato nel 2012 (75 tonnellate), nel 2013 (77 tonnellate) e, nonostante le vendite delle ultime settimane, anche nel 2014 (133 tonnellate). Stando ai dati del World gold council le riserve russe si avvicinano ormai alle 1000 tonnellate.
Maurizio Mazziero, economista e fondatore del centro studi Mazziero resarch, ritiene che questi acquisti avvengano con uno scopo preciso. “La mia idea”, spiega, “è che prima o poi Cina e Russia possano far valere questa situazione sui mercati internazionali. Magari proponendo che gli scambi commerciali avvengano utilizzando un paniere di valute in una certa misura collateralizzato con l’oro”. “Non è infatti da escludere”, continua Mazziero, “che in un futuro non troppo lontano si arrivi a un momento in cui non ci sarà più fiducia nelle monete completamente smaterializzate e affidate unicamente alla gestione delle banche centrali”. Del resto nel suo libro Currency wars il finanziere statunitense James Rickards ricorda come il Pentagono abbia già effettuato simulazioni di possibili guerre valutarie in cui l’oro diventava un fattore chiave.
Di fronte a questi scenari i Paesi dell’area euro per ora stanno a guardare. Con qualche eccezione. Lo scorso anno, sotto la pressione della campagna popolare “Riportate a casa il nostro oro”, la Germania ha rimpatriato parte dei lingotti spostati negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia dopo la guerra, sui timori di un’invasione sovietica. Al momento Berlino può contare, si stima, su riserve per quasi 3.400 tonnellate. Di questi lingotti soltanto il 31% si trova però attualmente all’interno dei confini nazionali e l’intenzione tedesca e di portare questa quota al 50% entro i prossimi cinque anni. Nella stessa direzione si sta muovendo la Banca centrale olandese, che ha annunciato l’intenzione di rimpatriare oro di sua proprietà depositato negli Stati Uniti.
E l’Italia? Per ora tutto tace. La Penisola dispone di riserve significative, stabili da circa un decennio: 2.451 tonnellate per un controvalore di circa 95 miliardi di dollari. Stando ai dati ufficiali si tratta della terza riserva dopo Usa e Germania, di poco superiore a quella francese. Anche in questo caso però solo una parte delle riserve si trovano sul suolo italiano. I forzieri della Banca d’Italia custodiscono circa 1.200 tonnellate di lingotti, ma altro oro è depositato presso la Federal Reserve americana e nelle banche centrali di Svizzera e Inghilterra.