I lavoratori italiani sono sempre più vecchi. Lo si legge in un report del Centro Studi di Confindustria che ha calcolato come, dall’inizio della crisi, siano aumentati gli occupati tra i 55 e i 64 anni (+1,1 milioni) e diminuiti, invece, quelli tra i 25 e i 34 anni (1,6 milioni in meno). Dati che in termini percentuali parlano di un incremento del tasso d’occupazione per gli over 55 dal 34,2% al 46,9% e di una flessione tra i giovani dal 70,3% al 59,1 per cento.
Confindustria sottolinea che questo andamento a forbice è più accentuato nei Paesi europei dove si sono registrate le maggiori contrazioni di domanda e produzione. Nella classifica dei Paesi del vecchio continente, l’Italia si posiziona al quarto posto per “vecchiaia” dei lavoratori, dietro solo a Germania, Polonia e Paesi Bassi ed è quarta anche per dimensione della caduta del tasso di occupazione tra i giovani, dopo Grecia, Spagna e Irlanda. Il numero di lavoratori anziani, però, è in aumento dai primi anni duemila, a causa di nuove regole che hanno allungato l’età pensionabile e l’elevata scolarizzazione degli over 55 che, così, sono entrati più tardi nel mondo del lavoro.
Il trend per il futuro non accenna a cambiare: secondo le proiezioni della Commissione europea, ad esempio, gli italiani si ritireranno da lavoro a un’età molto più elevata rispetto al passato. Attualmente, nel nostro Paese gli uomini vanno in pensione, in media a 61 anni, qualche mese dopo le donne. Le prospettive per il 2060, però, parlano di un aumento fino a 66 anni.
Il Csc cerca di analizzare anche le cause di questo calo occupazionale tra i più giovani. L’ipotesi che questo possa derivare dall’allungamento della vita lavorativa, però, non è confermato dai dati relativi ai singoli Paesi: “Il confronto internazionale non conferma questo effetto ‘spiazzamento’ – sottolinea lo studio -. Anzi, dove maggiori sono livelli e incrementi dell’occupazione di persone più avanti negli anni, più elevati sono anche livelli e incrementi dell’occupazione giovanile”. I ragazzi che entrano nel mondo del lavoro, in realtà, sono poco appetibili per le aziende: hanno poca esperienza, proprio perché appena usciti dalle scuole, ma hanno anche il problema di confrontarsi con un mondo del lavoro che cerca dipendenti sempre meno specializzati e, quindi, meno retribuiti.
Il rischio, secondo Confindustria, è quello di creare un mercato del lavoro sempre più in mano agli “anziani” e che non offre sbocchi ai giovani italiani. C’è bisogno, continuano dal Csc, di una maggiore integrazione tra scuola e aziende, che permetta ai giovani di essere introdotti con più facilità nel mondo del lavoro, offrendo loro il maggior numero possibile di alternative.
Qualsiasi intervento o riforma che migliori il contesto del fare impresa e l’impiego di manodopera, dicono gli industriali, favorisce l’occupazione dei giovani. Sarebbero così necessarie misure per la riduzione del cuneo fiscale e contributivo, l’investimento in formazione, minore rigidità nel licenziamento: “Le riforme contenute nel Jobs Act da poco approvato si muovono lungo questa linea – conclude il Csc -. È necessario, inoltre, il rafforzamento della flessibilità contrattuale a livello aziendale e territoriale e un sistema di determinazione salariale più moderno, che leghi gli aumenti retributivi all’andamento della produttività”.