Le nuove tecniche di produzione in America, la crisi russa e l’instabilità politica in Medioriente e Nord Africa stanno ridisegnando la mappa delle forniture di petrolio e gas. Con conseguenze che nessuno è in grado di prevedere per gli equilibri geopolitici mondiali. L’Europa ha iniziato a mettere a punto strategie per ridurre l’eccessiva dipendenza energetica dall’estero, in particolare nei confronti della Russia. E ha diretto lo sguardo sull’Africa e sugli Usa, che però a loro volta puntano sul mercato asiatico. Anche Mosca, dal canto suo, sta cercando di stringere solidi rapporti con l’Asia nel tentativo di mettere sotto pressione l’Europa dopo l’esplosione della guerra civile in Ucraina. E, nonostante i proclami sulla difesa dell’ambiente, in Europa sta salendo la domanda di carbone, la più inquinante tra le fonti fossili di energia. Il tutto mentre il prezzo del petrolio crolla e alimenta la fuga dei capitali dalla Russia.
Gli Stati Uniti cercano l’autarchia energetica – Nel 2014 gli Stati Uniti sono stati il primo produttore mondiale di greggio, con 11,7 milioni di barili al giorno, grazie soprattutto allo ‘shale oil’, l’estrazione del petrolio non convenzionale da frammenti di roccia. Grazie a questa nuova tecnica, molto criticata dagli ambientalisti, gli Usa prevedono, entro il 2020, di diventare autonomi, cioè di non avere più bisogno di comprare energia dall’estero per coprire i consumi nazionali. Secondo l’Unione petrolifera (Up) italiana, nel 2014 lo shale oil ha permesso agli Stati Uniti di coprire l’83% dell’incremento totale dell’offerta. L’amministrazione di Barack Obama sta puntando anche sullo shale gas, tecnica simile allo shale oil da cui però si ricava gas metano. E l’Europa ha riposto proprio nella prospettiva delle forniture statunitensi molte speranze di poter ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. Washington sembra tuttavia guardare altrove: nell’ultimo anno ha autorizzato l’esportazione di gas da quattro terminali, per una capacità totale di 73,4 milioni di tonnellate l’anno, ma con destinazione Oriente. “Il mercato naturale di questo Gnl è l’Asia”, ha detto il ministro delle Risorse naturali canadese, Greg Rickford. Inoltre, c’è da considerare che mancano ancora adeguate infrastrutture di trasporto del prodotto e quindi, nel breve periodo, è impossibile rimpiazzare le forniture attuali, prevalentemente russe, con quelle statunitensi.
In realtà, poi, l’orizzonte non è così sereno per gli Stati Uniti. Il 2014 ha visto la produzione globale di greggio aumentare più della domanda e le quotazioni internazionali inevitabilmente sono crollate. La conseguenza è che oggi l’estrazione di shale oil e shale gas è meno conveniente. E, come sempre accade quando si parla di energia, i fondamentali economici sono importanti tanto quanto le strategie politiche dei Paesi produttori. Quando a fine novembre i Paesi produttori riuniti nell’Opec, Arabia Saudita in particolare, hanno deciso di mantenere inalterato il livello di produzione, tutti hanno pensato a una mossa per colpire gli Stati Uniti. Già ora, calcola Up, il costo di estrazione dello shale nordamericano non è coperto dai prezzi di mercato. Con una quotazione del Brent intorno ai 60 dollari, sono messi fuori gioco ben 11 milioni di barili al giorno, pari al 12% della produzione totale.
Capitali in fuga dalla Russia – Sorpassata dagli Usa, la Russia è diventata nel 2014 il secondo produttore mondiale di greggio, con 10,9 milioni di barili al giorno. Tuttavia, le sanzioni occidentali inflitte a causa della crisi ucraina e il crollo del greggio stanno minando la stabilità finanziaria del Paese. Petrolio e gas sono la spina dorsale dell’economia russa e assicurano oltre metà delle entrate pubbliche di cui dispone ogni anno il Paese presieduto da Vladimir Putin. Gli operatori stranieri, intimoriti per gli effetti che il petrolio in caduta libera rischia di avere sull’economia russa, hanno cominciato a ridurre la loro esposizione verso il Paese: ne è derivata una fuga di capitali che ha fatto precipitare il valore del rublo rispetto al dollaro. La banca centrale russa ha adottato misure choc, come l’aumento dal 10 al 17% del tasso di rifinanziamento nazionale, senza riuscire a stabilizzare davvero la situazione. La difesa del cambio è costata un prezzo enorme in termini di riserve nazionali di oro e valuta straniera. E secondo molti osservatori l’Opec ha rifiutato di limitare la produzione anche per far pagare a Putin l’appoggio al regime di Bashar el Assad in Siria.
In tutto questo l’Europa non può fare molto più che stare a guardare. Nel 2013 i 28 Paesi dell’Unione hanno aumentato le importazioni dall’ex Unione sovietica del 25%. La Russia è il primo paese esportatore di gas in Italia con una quota del 38%. Tuttavia, visto il deterioramento dei rapporti con l’Europa e lo stop al gasdotto South Stream, la situazione è destinata a cambiare. Come gli Stati Uniti, anche Mosca punta sull’Asia. Putin ha già stipulato un accordo per la costruzione del gasdotto Power of Siberia, che dal 2018 dovrebbe fornire gas russo alla Cina. E a dicembre ha siglato venti accordi commerciali con l’India nel settore energetico. Inoltre Mosca ha raggiunto un’intesa con il governo di Ankara per aumentare di 3 miliardi di metri cubi le forniture di gas alla Turchia, attraverso un potenziamento del gasdotto Blue Stream.
Medioriente, Nord Africa e l’ombra dell’Isis – I Paesi produttori del Medioriente e del Nord Africa hanno da sempre un ruolo fondamentale nel rispondere alla domanda dei Paesi consumatori, in particolare di quelli asiatici ed europei. E secondo le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) continueranno ad essere cruciali: qui sono concentrate le maggiori riserve di petrolio e gas e i costi di produzione restano particolarmente bassi. L’Arabia Saudita si è confermata nel 2014 terzo produttore mondiale di petrolio con 9,5 milioni di barili al giorno; l’Iran ne ha prodotti 2,7, l’Iraq 3,1, il Kuwait 2,5 milioni. Tuttavia, anche in questo caso l’assetto geopolitico potrebbe mutare rapidamente. Per il gas il 2013 si è già chiuso con una forte riduzione delle forniture dal Medio Oriente (-19%) e dall’Africa (-26%). Da quando è esplosa la primavera araba l’instabilità del quadro socio-politico ha causato frequenti interruzioni delle esportazioni. I 765 milioni di metri cubi di gas in meno dalla Libia all’Italia si spiegano in buona parte con gli scontri tra il governo di Tripoli e i ribelli e i conseguenti blocchi del gasdotto Greenstream. Lo Stato islamico (Isis) ha poi occupato ampie porzioni dell’Iraq e della Siria occidentale limitando l’offerta di greggio e dirottando sul mercato nero una parte della produzione. Infine, in alcuni Paesi è possibile che una quota crescente della produzione vada a sostenere i consumi interni della popolazione, a scapito dei compratori europei. Sembra essere questo il caso dell’Algeria, che nel 2014 ha già ceduto alla Russia il ruolo di primo fornitore di gas all’Italia.
Nonostante la complessità del quadro politico, dopo il deterioramento dei rapporti con la Russia Europa e Italia guardano con ancora più interesse al Nord Africa. “La questione energetica sarà più in direzione Nord e Sud e questo conferma l’importanza delle relazioni tra l’Unione Europea e l’Africa e tra l’Italia e l’Algeria”, ha detto di recente il presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
I Paesi Opec rallentano, i non Opec trascinano – In generale, il 2014 ha visto salire ancora la quota di produzione di petrolio dei Paesi non Opec (da 50,5 a 52,2 milioni di barili), mentre è stabile quella dei Paesi Opec, i 12 Stati che controllano circa il 78% delle riserve mondiali accertate di petrolio e il 50% di quelle di gas. Nel caso del gas, i dati Aie dicono che nel 2013 a livello mondiale la domanda è cresciuta dell’1,15%, rimanendo invece stazionaria nell’Ue. Negli Stati Uniti i consumi sono cresciuti di quasi il 2%. In Italia invece in seguito alla crisi si continua a registrare un forte calo, che ha portato la sua dipendenza energetica dal gas a scendere per la prima volta sotto il 90%, all’88,4%.
In questo contesto, aumenta il consumo di carbone. Nonostante accordi e proclami in senso ambientalista, a livello mondiale il consumo di questo combustibile fossile è destinato ad aumentare. Nel 2013, secondo la relazione dell’Autorità per l’energia e il gas, in Europa le importazioni sono salite del 4,2% con andamento diverso da paese a paese: in Italia si sono ridotte del 21% ma sono cresciute di altrettanto in Germania. In futuro, la domanda di carbone potrebbe essere stimolata dagli sviluppi della gassificazione per la produzione di gas e idrocarburi liquidi di sintesi, in particolare in Cina.