La caduta del prezzo del greggio e il contemporaneo rifiuto degli arabi dell’OPEC di ridurne l’offerta, muta la competizione nel mercato del petrolio, del gas e del carbone. Sono molti gli analisti che ritengono che non solo l’attacco è rivolto alla Russia, ma anche alla concorrenza del gas e dell’olio da shale americano (v. Bloomberg News del 27-11-14), così da farne emergere, senza più l’alibi di un prezzo inferiore, tutti i rischi ambientali e la bolla speculativa che si porta alle spalle. E’ una questione di cui da noi si parla pochissimo, ma che mette in ansia i grandi finanziatori delle fossili “non convenzionali”.
In uno scenario in movimento, Circle of Blue, periodico americano che affronta il problema delle risorse, e The Nation, con un articolo di Naomi Klein, mettono impietosamente in evidenza gli inconvenienti dell’olio e del gas di scisto.
Sono diffuse in Usa e Canada preoccupazioni sui rischi per l’acqua, la terra, e le comunità, dato che il boom di estrazione da scisto richiede cambiamenti dirompenti dei sistemi di tubazione e di quelli ferroviari di trasporto. Le nuove riserve energetiche si trovano in aree che non sono ben collegate ai porti o alle raffinerie già sviluppate nel secolo precedente e le imprese del settore energetico sono impegnate in una rete ferroviaria e di gasdotti per abbinare la mutata geografia alla nuova offerta.
Nel corso degli ultimi due anni, treni che trasportano petrolio dal Canada e Dakota sono esplosi almeno in sei località, con perdita di centinaia di vite e vasti inquinamenti. Nel 2010, un oleodotto che trasporta greggio per la raffineria a Detroit dalla regione di sabbie bituminose di Alberta ha rovesciato quasi 1 milione di litri di greggio appiccicoso nel fiume Kalamazoo. Gli analisti del settore prevedono che una media di circa 50 miliardi di dollari all’anno saranno spesi da qui al 2025 per creare reti di gasdotti e di ferrovie adeguate: con 28968 km. di condutture si tratta di uno “tsunami di nuovi gasdotti“. In attesa dei nuovi tubi il trasporto ferroviario è cresciuto in modo esponenziale con un aumento del 3600%.
Il percorso del gasdotto Keystone XL, che collegherebbe Alberta al Golfo del Texas, è l’esempio più visibile di protesta nazionale (l’itinerario proposto attraversa un acquifero sensibile in Nebraska, che i cittadini e il governatore dello Stato vogliono proteggere). Le proteste vanno al di là delle popolazioni locali, perché si considera che l’arresto del programma possa bloccare la produzione da sabbie bituminose, una delle fonti più costose e più sporche (più del doppio di effetto serra rispetto al petrolio tradizionale), che porta benefici economici ad una parte dell’industria, ma danni rilevanti all’agricoltura e al turismo.
In meno di un anno, Shell, Statoil e Total hanno abbandonato i loro progetti sulle sabbie bituminose, avviati quando il petrolio era a 100 $. Barack Obama, a questo punto, deve decidere se, fermando Keystone, ferma anche un progetto industriale che sta destabilizzando il clima. Nel frattempo i rappresentanti delle popolazioni indigene continuano a vincere coi loro ricorsi in tribunale.
Il cambiamento climatico è tornato sulla scena mondiale, ad un livello che non si scorgeva da quando è fallito il vertice di Copenaghen nel 2009. Mentre Stati Uniti Cina e Europa sembrano indotti a ricorrere a drastiche misure, il Canada, con emissioni di quasi il 30 per cento superiore a Kyoto, comincia esso stesso a dubitare che le sue sabbie bituminose siano opportunità di business a lungo termine, in cui depositare centinaia di miliardi di dollari nei prossimi decenni.