Mamma sono gay. Se i più tra i genitori di fronte ad una simile dichiarazione se ne faranno una ragione, una minoranza determinata tra questi correranno ai ripari, cercando soluzioni più o meno magiche che ripristinino la rassicurante eterosessualità.
Ora questa realtà si presenta per la prima volta in pompa magna per un convegno in Regione Lombardia, il 17 Gennaio, con tanto di intervento del Presidente Maroni.
Già perché finora i “riparatori” vivevano nell’ombra, visto che tra l’altro proprio l’Ordine Psicologi Lombardia in una delibera del 2010 aveva “segnalato che qualunque corrente psicoterapeutica mirata a condizionare i propri clienti verso l’eterosessualità o verso l’omosessualità è contraria alla deontologia professionale ed al rispetto dei diritti dei propri pazienti”.
Ecco sei ottime ragioni per nutrire legittimi sospetti verso le terapie riparative.
1. Non c’è nulla da riparare.
La riparazione, secondo Devoto-Oli è un’“azione rivolta a eliminare o attenuare gli effetti negativi di un danno, un’offesa, un errore”. Nicolosi, creatore della “Reparative therapy of male homosexuality” (1991) sostiene che “l’identità di genere e l’orientamento sessuale sono fondati sulla realtà biologica. Il corpo ci dice chi siamo. (…) Non possiamo montare o smontare una realtà diversa, in cui il genere o l’identità sessuale non siano sincronizzati con la biologia (…) L’omosessualità è sintomo di un fallimento nel processo di integrazione della propria identità”. E’ tuttavia questa una posizione non condivisa né dalla scienza né dalla maggioranza dell’opinione pubblica.
2. L’omosessualità non è una malattia
L’omosessualità è scomparsa dall’elenco dei disturbi mentali dal 1973 con la terza edizione del manuale diagnostico Dsm usato come riferimento mondiale per la diagnosi dei vari disturbi della sfera psichica. La posizione del mondo scientifico occidentale quindi ormai da più di quarant’anni è che l’omosessualità di per sé costituisca una variante del comportamento sessuale umano e che di conseguenza nessuna terapia possa essere effettuata per cambiare un orientamento sessuale.
3. La terapia riparativa parte da una posizione pregiudiziale
L’orientamento sessuale e la propria identità non sono sempre bene accetti, anche a causa della paura della diversità e della solitudine, che può causare sofferenze anche gravi, specie nei più giovani. Le terapie riparative rinforzano gli stereotipi persecutori cercando di condizionare l’orientamento sessuale. La riparazione non è quindi propriamente una terapia ma una forma di condizionamento.
4. Le terapie riparative non funzionano
Sono prive di fonti e di riferimenti scientifici e suscitano quindi aspettative infondate. Nei rari casi in cui sembrano funzionare questo può avvenire solo per una forma di suggestione o di identificazione con il proprio alter ego eterosessuale.
5. Le terapie riparative sono deontologicamente scorrette
Queste “terapie” fanno leva sull’uso indebito della fiducia e dello stato di dipendenza del paziente per influenzarlo. Inoltre è palesemente una pratica discriminatoria. Gli articoli implicati vanno dal 3 al 5 del C.D. degli Psicologi italiani.
6. Le terapie riparative sono bandite in molti paesi e da quasi tutte le istituzioni scientifiche
L’Ordine Nazionale degli Psicologi ha preso netta posizione contro questa pratica: “Affermare che l’omosessualità possa essere curata è un’informazione scientificamente priva di fondamento e portatrice di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale” (Palma, 2012). Così l’American Psychological Association e una serie infinita di istituzioni scientifiche. Nel 2011 la California, sede della comunità dove Nicolosi accoglie da tutto il mondo i gay che vogliono tentare la via della riparazione ha firmato una legge che rende le “terapie riparative” illegali per i minorenni.
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