Nel 2015 il Grexit, l’uscita della Grecia dall’Euro, non fa più paura a nessuno, perche? La risposta è semplice: la composizione del debito greco è cambiata radicalmente. Ed infatti, a metà del 2014 soltanto il 16 per cento era nelle mani del settore privato, mentre il resto del debito lo detenevano governi ed organizzazioni sovranazionali, tra cui la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario. Ecco svelato il motivo per cui ai mercati importa poco se alla fine di gennaio la probabile vittoria di Syriza riaccenderà il dibattito parlamentare sull’uscita dell’Euro ma anche una possibile vittoria del fronte euroscettico; anche se tutto ciò avvenisse le conseguenze per l’eurozona sarebbero minime.
Nessuna banca, fondo d’investimento o finanziaria tedesca o francese si troverebbe in serie difficoltà, chi aveva in portafoglio il debito greco ha infatti avuto negli ultimi cinque anni tutto il tempo di sbarazzarsene rivendendolo, grazie all’intermediazione dell’Unione Europea, a governi, istituzioni sovranazionali o a spregiudicati speculatori. In altre parole, le conseguenze peggiori del Grexit per i mercati finanziari sono state rimosse ed il prezzo è stato la contrazione dell’economia greca, che in cinque anni si è ridotta di circa un quarto. I greci hanno pagato e continuano a pagare per gli errori commessi dai loro politici su consiglio dell’alta finanza e con il beneplacido dell’Unione.
Oggigiorno i mercati sono più interessati al Qe (quantitative easing) di Mario Draghi, e cioè la promessa di sottoscrivere direttamente, non attraverso l’intermediazione delle banche, il debito pubblico dei singoli stati membri stampando carta moneta. Una politica che nel 2010, quando la si poteva usare per salvare la Grecia, appariva inconcepibile ma che oggi, a cinque anni di distanza, rappresenta l’ultima speranza per evitare la deflazione dell’intero continente. Difficile evitare questa piaga economica dal momento che tutti gli indicatori puntano in questa direzione, incluso quello rappresentato dal prezzo del petrolio che continua a scendere. Anche se dovremo aspettare la prossima settimana per avere la conferma che la riduzione dei costi energetici ha spinto il tasso d’inflazione di Eurolandia sotto zero, tutti sanno che l’inflazione in Europa è un fenomeno del passato.
Se davvero il tasso d’inflazione scende sotto zero, le rassicurazioni verbali di Mario Draghi non basteranno più a calmare il mercati, la Bce dovrà finalmente intervenire e seguire l’esempio della Riserva Federale, che ha iniziato il Qe all’indomani del crollo della Lehman Brothers, specialmente tenendo presente che il 2015 inizia con un’attività economica nell’Eurozona più bassa che all’inizio del 2008.
Ed ecco le previsioni per il 2015: crescita dell’Eurozona ancora anemica, probabilmente anche negativa, nonostante Draghi darà fondo alle presse, il Qe arriva infatti tardi, troppo tardi per trainare l’economia europea fuori della deflazione; possibile uscita della Grecia dall’Eurozona il cui impatto sui mercati mondali verrà attutito e forse anche neutralizzato dal Qe della Bce; ulteriore contrazione dell’economia greca quale conseguenza immediata dell’uscita dall’Euro, ma con ripresa a partire dal 2016; caduta del tasso di cambio dell’euro ed aumento di quello del dollaro, che a detta di Bloomberg chiuderà il 2015 a $1.18 contro la moneta unica europea; aumento della disoccupazione, specialmente di quella giovanile, in Europa e riduzione di questa negli Stati Uniti; ripresa dell’economia americana, che nel 2015 tenterà di alzare i tassi d’interesse.
Il vecchio continente sembra dunque destinato a ripetere l’esperienza giapponese del decennio perduto, una decade di stagnazione che nel caso del Giappone perdura da più di vent’anni. Sul piano politico questo fenomeno sta polarizzando gli stati membri dell’Unione Europea: da una parte nei paesi con forti debiti, come la Grecia, l’Italia e la Spagna, si fanno strada movimenti e partiti anti-austerità, dall’altra nel centro dell’Europa, inclusa la Francia, aumenta il peso di quelli di destra xenofobici. Assistiamo quindi non solo all’impoverimento del continente attraverso la deflazione, ma anche al consolidamento di una spaccatura politica creata da decisioni economiche sbagliate e dalla precoce introduzione di una moneta unica. Davvero un bel bilancio per l’inizio del nuovo anno!
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