Scuola

Legge di stabilità e scuola: le promesse non mantenute del 2014

Se dovessimo tentare un breve resoconto di quanto è toccato alla scuola nell’anno che si è appena concluso, potremmo cavarcela con poche parole: promesse non mantenute.

La promessa delle promesse: scuola priorità del governo. Il che – occorre dirlo – non rappresenta certo di per sé un dato rassicurante. Dipende. Non è stata forse – la scuola – una priorità per il governo Berlusconi, ministro l’immeritevole Gelmini? Indubbiamente. E sappiamo bene in cosa si è concretizzato quell’“occhio di riguardo” riservato all’istruzione: un tentativo di smantellare il sistema nazionale di istruzione, prontamente confermato dai governi seguenti. Il velleitarismo dell’attuale esecutivo si è concretizzato in ben due riforme epocali, annunciate, illustrate, fallite in pochi mesi: la riforma Reggi, con il suo autore – all’epoca sottosegretario all’Istruzione – forse non casualmente promosso a direttore dell’Agenzia del Demanio, che tentava di riproporre surrettiziamente l’aumento dell’orario di lavoro a salario immutato. E La Buona Scuola, sterzata neoliberista sul sistema d’istruzione, in salsa Englishmodernista: valutazione, carriera, preside sceriffo, sponsor e incentivo all’investimento privato, requiem per la libertà d’insegnamento, diritto allo studio questo sconosciuto.

Nonostante le dichiarazioni e gli euro buttati in kermesse autocelebrative, Governo e Pd (sono – nel caos postdemocratico – un tutt’uno, anche se fingiamo di non avvedercene) hanno dovuto ammettere il fallimento della proposta, dichiarando lo slittamento di qualsiasi iniziativa sulla scuola ai mesi che verranno.

Ma non tutto è fermo. La Legge di Stabilità è passata, portando con sé lo stanziamento di 1 milardo (di cui 500 ml disponibili) di euro per un piano di 150mila assunzioni: atto dovuto, considerata anche la sentenza di novembre della Corte Europea di Giustizia.

Assunzioni che comunque costeranno molto care alla scuola nel suo complesso. Nella Legge di Stabilità vengono infatti confermati i tagli al personale assistente amministrativo (2.020 unità); ai distacchi del personale a beneficio delle associazioni (abrogati i comandi presso le associazioni di prevenzione e recupero del disagio e della tossicodipendenza ed i comandi presso le associazioni professionali del personale direttivo e docente a partire dall’a.s. 2016-17; tutti i comandi presso qualunque amministrazione dello Stato, ad eccezione di quelli presso al Miur per l’autonomia, i coordinatori regionali per l’educazione motoria e i supervisori dei tirocini presso le università). Viene confermata l’eliminazione degli esoneri e semiesoneri ai docenti vicari. Per le assenze dei docenti non verranno chiamati supplenti fin dal primo giorno. Estremamente difficile risulterà la sostituzione del personale assente collaboratore scolastico e assistente amministrativo; mentre non si prevede neppure la possibilità di sostituire gli assistenti tecnici assenti.

Ma il costo del piano assunzioni non si limita a questo tagliuzzamento estemporaneo, che dimostra chiaramente come chi abbia lavorato alla Finanziaria non conosca o non abbia voglia di conoscere come funzionino gli istituti scolastici.

Fermo restando il finanziamento di 200 milioni alle scuole paritarie (che si vanno ad aggiungere ad ulteriori fondi pubblici dedicati a questo capitolo di spesa che grava su tutti), sono stati reperiti 10 milioni per finanziare l’istituto Invalsi, con un emendamento passato in extremis a poche ore dall’approvazione definitiva del testo. Per il resto, una sforbiciata drastica ai diritti maturati: blocco dell’indennità della vacanza contrattuale (che serve a tutelare i lavoratori nel caso di ritardi nella stipula dei rinnovi contrattuali) fino al 2018.

Il provvedimento comporterà un risparmio di 900 milioni di euro, ma andrà a rafforzare la già problematica situazione determinata dall’ulteriore blocco del contratto (l’ultimo risale al 2009) fino alla fine del 2015: potere di acquisto dei nostri salari ormai ridotto al lumicino. Analogamente, nulla di risolutivo sulla situazione dei Quota 96, cui – nonostante il diritto maturato ormai da 2 anni – non si consente di andare in pensione. Infine, il coup de théatre, dopo un minuetto estenuante quasi quanto la questione del pensionamento degli aventi diritto nati nel 1952, che ha tenuto banco durante l’estate con trionfalistici proclami di soluzione e rocambolesche smentite: a distanza di 6 mesi dall’esame di Stato, ancora non sappiamo come saranno composte le commissioni che valuteranno i nostri studenti. Approvato un emendamento di Forza Italia che conferisce al governo il potere di “rivisitare” l’esame a scopo di risparmio. Il sottosegretario Faraone smentisce le voci “malevole”, che prevedono una commissione tutta interna.

Rimane il fatto che questo ulteriore espediente costituisce la conferma – semmai ce ne sia bisogno – di quanto davvero la scuola stia a cuore al governo Renzi. E induce a diffidare di chi – da anni – annuncia la centralità di questo tema nell’agenda dei governi. Come si diceva, dipende.

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