L'Istituto Bruno Leoni, in uno studio dal titolo emblematico ("L’importante è partecipare: perché rinunciare a Roma 2024”) ha dimostrato come fino ad oggi nessun paese ospitante è riuscito a mantenere le promesse sul rispetto del budget
Con l’ingresso nel nuovo anno comincia ufficialmente la corsa di Roma alle Olimpiadi del 2024. Matteo Renzi e Giovanni Malagò a dicembre hanno annunciato la candidatura dell’Italia. Il 15 gennaio partirà la gara di assegnazione da parte del Comitato olimpico internazionale, con la prima fase di invito delle città aspiranti a Losanna. Un sogno, per il Coni e per il mondo dello sport. Un incubo, per quanti temono che i Giochi possano trasformarsi in un enorme buco nero per l’economia italiana. Tutto dipenderà dai costi organizzativi. Il premier Renzi lo ha promesso: “Saremo all’avanguardia nel controllo della spesa”. E del resto anche i tecnici del precedente dossier di Roma 2020 avvisavano: “L’operazione di ospitare i Giochi può rivelarsi vantaggiosa solo a condizione di rispettare la spesa programmata.
Ma c’è un dato che spaventa l’Italia e dovrebbe far riflettere il governo: dal 1960 ad oggi, tutte le edizioni delle Olimpiadi estive sono incorse in uno sforamento del budget. Senza eccezione alcuna, con un aumento medio del 179%.
I numeri allarmanti vengono da una ricerca dell’Istituto Bruno Leoni. Il cui titolo è tutto un programma: “L’importante è partecipare: perché rinunciare a Roma 2024”. Il report cita un’analisi condotta da Bent Flyvbjerg e Allison Stewart, professori all’università di Oxford, che dimostrano con precisione come negli ultimi anni le Olimpiadi si siano rivelate un salasso per i Paesi organizzatori. Con costi sempre lievitati a dismisura. A partire dall’ultima edizione di Londra 2012: nell’estate 2013 il governo ha snocciolato numeri trionfalistici, parlando di una spesa di 8,77 miliardi di sterline, 528 milioni sotto il budget previsto. Peccato che questa cifra non includesse gli importi per sicurezza e trasporti, con cui il conto arriva secondo Sky e Fortune a circa 24 miliardi di sterline. E che comunque la spesa iniziale, stimata nel 2005 al momento dell’assegnazione, era di soli 2,37 miliardi.
Stessa sorte è toccata anche alle tre precedenti edizioni: Pechino 2008 è passata da 2,2 miliardi a quasi 45 miliardi di dollari (stima non ufficiale, a causa della scarsa trasparenza dei resoconti governativi). Nel 2004 ad Atene i costi sono esattamente raddoppiati, da 4,5 a 9 miliardi di euro, portando il deficit pubblico al 6,1% del Pil e inabissando l’economia greca. Anche a Sidney 2000 l’investimento è praticamente raddoppiato rispetto agli iniziali 3,4 miliardi di dollari australiani. Il case history peggiore – prosegue la ricerca – è quello di Monteral 1976: i Giochi, che sarebbero dovuti costare solo 124 milioni di dollari, furono un flop da ogni punto di vista, e lasciarono un buco di 2,8 miliardi che il Canada è da poco riuscito a ripianare, a trent’anni di distanza dalla manifestazione.
Mentre The Big O, lo stadio olimpico costruito per l’occasione e pagato circa 1,5 miliardi, dal 2004 è privo di un utilizzo stabile. Ma anche un’edizione di successo, come quella di Barcellona ’92 che ha avuto il merito di cambiare il volto della città catalana (un po’ quello che si spera di fare con Roma), costò circa il 400% in più del previsto. Per questo, in vista delle prossime edizioni, l’Istituto Bruno Leoni conclude il suo rapporto lanciando delle proposte alternative. Come stabilire una dimora fissa per le Olimpiadi, o al contrario delocalizzarle in giro per il mondo, sempre al fine di razionalizzare i costi. Una terza via potrebbe essere quella di istituire delle penali in caso di superamento del budget, come strumento di controllo della spesa. Oppure, più semplicemente, basterebbe solo rinunciare, come spiega il titolo. E non avventurarsi in progetti pericolosi per le finanze del Paese.
Twitter: @lVendemiale
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