“La mafia è un fenomeno opera del maligno. La ‘ndrangheta non ha nulla di cristiano”. Dopo sei mesi dall’inchino della Madonna di Oppido Mamertina davanti alla casa del boss Giuseppe Mazzagatti, i vescovi calabresi hanno partorito una nota pastorale con cui prendono una posizione sul delicato tema del ruolo della Chiesa in una regione come la Calabria. Sono stati necessari oltre sei mesi per capire le parole di Papa Francesco pronunciate nella valle di Sibari lo scorso giugno, quando ha stravolto il discorso che gli era stato scritto e ha lanciato il suo anatema andando anche oltre il “Convertitevi, verrà il giudizio di Dio” di Giovanni Paolo II dopo la strage di Capaci. Papa Francesco, infatti, ancora prima che scoppiasse il caso della Madonna di Oppido, aveva “scomunicato i mafiosi” .
“La ‘ndrangheta – scrivono oggi i vescovi calabresi – è altro dal cristianesimo, dalla Chiesa. Non è solo un’organizzazione criminale che, come tante altre, vuole realizzare i propri illeciti affari con mezzi altrettanto illeciti e illegali, ma (attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro) si pone come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’ultimo vero Dio. L’appartenenza a ogni forma di criminalità organizzata non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”.
E ancora: “Esortiamo il popolo di Dio a compiere ogni sforzo per rinunciare ad atteggiamenti che possono alimentare il fenomeno mafioso. E ciò non solo mediante la condanna di tutte le forme di violenza, ma anche avendo presente che la risoluzione dei problemi personali non va affidata al padrino di turno ma a chi è preposto dall’autorità dello Stato. Le mafie, di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa, costituiscono un nemico per il presente e per l’avvenire della Calabria. Noi dobbiamo contrastarle perché nemiche del Vangelo e della comunità umana. In nome del Vangelo dobbiamo tracciare il cammino sicuro ai figli fedeli e recuperare i figli appartenenti alla mafia”.
Tante riflessioni positive sul futuro della Chiesa per troppi anni, in Calabria, ambigua e miope di fronte alla ‘ndrangheta. Non è un caso se solo ora che la vicenda dell’inchino di Oppido è salita agli onori della cronaca nazionale i vescovi calabresi sentono l’esigenza di una presa di posizione fraintendendo, forse, anche quello che lo Stato chiede ai sacerdoti e ai parroci dei paesini a più alta densità mafiosa. I porporati, infatti, chiariscono la differenza che c’è tra loro e la magistratura e le forze dell’ordine: “La Chiesa ricorda che la sua missione non sempre può coincidere con l’azione inquirente o punitiva, propria dello Stato. La necessaria collaborazione tra Chiesa e magistratura segue le singolari dinamiche dell’una e dell’altra, e trova il suo limite (per la natura stessa della Chiesa) in tutto ciò che riguarda il ‘foro interno’ delle persone in cui la Chiesa si accosta come Madre, particolarmente nell’intimità del segreto confessionale che, mai, a costo perfino della vita, nessun ministro di Dio può tradire”.
La nota pastorale traccia un punto di non ritorno nel rapporto tra Chiesa e ‘ndrangheta. Un punto, però, che al momento non va oltre le 13 pagine scritte dai vescovi che, a Palmi, da sei mesi hanno sospeso le processioni dopo l’inchino della Madonna di Oppido al boss Mazzagatti durante la processione guidata dal parroco don Benedetto Rustico, cugino dell’anziano capocosca. Lo stesso prete che ha invitato i fedeli a prendere a schiaffi il giornalista del Fatto Quotidiano. Nei suoi confronti, i vescovi calabresi non hanno assunto alcun provvedimento.