Il proprietario della tv italiana d'Albania parla a 360 gradi: dall'addio di Caprarica ("Non sapevo lo chiamassero 'Capraricca'") all'ostracismo dei media italiani, dal suo passato alle voci che circolano su di lui, dalla professionalità della Ferilli al calcio
Brevi cenni autobiografici di un convinto antitabagista: “Hanno scritto che ho sempre in bocca un sigaro da gangster, ma io non fumo. Sono nato a Roma quarantotto anni fa, ho frequentato il Liceo Scientifico con alterne fortune e da giovane, come tanti ragazzi, mi sono saputo godere la vita tenendo separati il divertimento e l’ambizione”. La seconda, dice oggi Francesco Becchetti, è cresciuta “al ritmo della curiosità”. Per ora, con un esperimento esposto alla tempesta della novità, questo imprenditore folgorato dalle energie rinnovabili ha destato l’interesse – non sempre benevolo – di un vasto gruppo umano: “Ho osato immaginare una televisione diversa e dato molto fastidio a qualcuno” dice Becchetti che in Albania atterrò nel 2000 e quasi tre lustri dopo, a due passi dall’aeroporto, ha progettato, preparato e poi officiato il decollo di Agon Channel. Della tv con Pupo, Simona Ventura e Sabrina Ferilli prodotta a Tirana e pensata per l’Italia, degli obiettivi a lunga scadenza: “Puntiamo all’uno per cento di share” e delle polemiche che hanno accompagnato il lancio del canale, il vero sosia di Francesco De Gregori: “Ci somigliamo, ogni tanto mi scambiano per lui e a me in fondo non dispiace” parla da generale: “Con l’orgoglio di chi dà lavoro e il pragmatismo di chi è consapevole che non salverà il mondo. Quando mi chiedono che ci sia davvero sotto e quali scopi nasconda veramente l’operazione Agon Channel mi viene da ridere. Per me la tv è una questione meramente imprenditoriale. Il mercato pubblicitario, per quanto declinante, smuove miliardi di euro. È strano mirare a ottenerne una parte? È un reato ambire a una fetta di quella torta?”.
Lei ambisce.
Mi pare chiaro. Ho delle responsabilità. Pago stipendi. Conduco aziende. E gioco in un campionato complicato. Non sono un filantropo e non aspiro a esserlo. Le parole sono importanti, ma non sfamano. Per fare beneficenza devo essere in grado di produrre utili e inseguire una quota di mercato.
Agon è una forma di beneficenza?
Agon è una sfida. Una scommessa a ragion veduta. La beneficenza, ma qui non è rilevante, la faccio in silenzio. Lontano dai riflettori e dalle speculazioni demenziali. Ne ho lette tante anche in questi giorni.
La lista di ciò che le addebitano è lunga.
Se mi chiama all’accertamento della verità stiamo qui fino a stanotte.
Ma qui non siamo in un tribunale.
Lo so che lei vuole chiedermi di Caprarica.
In sostituzione di Alessio Vinci, Antonio Caprarica ex corrispondente della Rai a Mosca e a Londra era stato nominato direttore delle News di Agon. Se ne è andato sbattendo la porta dopo 15 giorni denunciando strutture inadeguate e sfruttamento del personale.
Si è molto dispiaciuto il procacciatore di ciabattine, soprattutto.
Come dice Becchetti?
Il dottor Caprarica, arrivando in Albania, aveva stilato una lista degli oggetti indispensabili allo svolgimento della sua professione. L’iPad di ultima generazione, lo scaldapane 2.0 e naturalmente le ciabattine scendiletto per lui e per sua moglie. La persona che si era prodigata per trovarle adesso è molto triste. Aveva provveduto a casa, macchina e autista e non riusciva a darsi pace per le ciabatte. L’ho consolato. “Non te la prendere” gli ho detto: “L’errore è essere stato troppo zelante”.
Caprarica sollevava questioni serie.
Non sapevo che lo chiamassero “Capraricca”. Pensavo che il suo cursus internazionale fosse l’ideale per guidare un tg nuovo e delocalizzato. Mi sbagliavo. Non conoscevo altri aspetti di questo signore e non ho centrato la scelta. Ammettere gli errori non mi turba. Solo chi fa le cose sbaglia.
Ora, mentre le cause faranno il loro corso, dovrà sostituirlo.
Per adesso al suo posto c’è Giancarlo Padovan e ha la mia piena fiducia. In un secondo tempo, se accadrà, farò una scelta per sottrazione. Potrà diventare direttore delle news solo chi non pretende tre telefonini, le scarpette e venticinque stampanti. La televisione non è una copisteria. Le fotocopie inquinano l’ambiente. Ci vuole cuore. Anima. Vorrei che ad Agon lavorasse chi ce l’ha.
Aldo Grasso parla di “estetica da discount”, “sogno di serie B” e “star imbolsite”.
Non mi fa né caldo né freddo, ma come tante cose anche strumentali che ho letto ultimamente, mi spiega che il percorso intrapreso da Agon è quello giusto. Se fossimo davvero una tv scadente con ascolti da prefisso telefonico crede che la stampa italiana si occuperebbe così tanto di noi?
Secondo lei l’attenzione che origine ha?
È figlia di un fastidio. La mia sensazione è che i primi risultati di Agon siano importanti. Per questo motivo picchiano duro e per questa stessa ragione ci attaccano.
Voi di Agon però dall’Auditel non siete rilevati.
Solo a uso interno. Ma essendo partiti da zero siamo molto soddisfatti. Una start-up non è mai semplice. Ci sono ovviamente narrazioni da migliorare, meccanismi da affinare, palinsesti da riempire.
Sulla qualità dei palinsesti la critica di settore è stata spietata.
Se consideriamo che abbiamo iniziato a ragionare di tv a luglio del 2013 e che siamo in onda da poco più di un mese, dico che abbiamo fatto miracoli. Tutto è perfettibile, ma la qualità di ciò che proponiamo, mediamente, è di livello alto.
Non sono in pochi a pensarla diversamente.
Mi piacciono le critiche costruttive, la malafede invece mi annoia.
Erano in malafede anche i volti della tv italiana, non pochi, che per emigrare ad Agon le hanno chiesto di essere pagati in anticipo?
Se sei sicuro del tuo prodotto e hai la possibilità di pagare in anticipo perché non farlo? Rassicurare gli altri è una soddisfazione. Il problema ce l’hai quando non sei certo di ciò che fai e hai le tasche vuote. Con quelli che mi hanno detto: “Vorrei essere saldato subito” non mi sono offeso. Non la prendo mai sul personale. L’importante è arrivare al risultato. Per realizzare un progetto bisogna trattare e convincere il tuo interlocutore.
Tra una visura camerale e l’altra le hanno fatto i conti in tasca.
È stata poco elegante, ma derubrico l’indagine mediatica su di me a sciocchezza inoffensiva. Non ho niente da nascondere. Ho investito molto denaro alla luce del sole.
Sono stati i soldi a convincere gli esuli della tv di casa nostra ad attraversare il Canale d’Otranto?
Volevano scommettere e avere la giusta retribuzione per aver deciso di scommettere.
Non è arrivato Fiorello.
Ma non è detto che un giorno non arrivi anche lui. Confido in ciò che è apparentemente impossibile. Mi diverto solo quando mi dicono che la salita è difficile. Trovo sempre una strada. Con le idee però, non solo con i soldi.
A proposito di denaro. C’è qualcuno che sostiene che il fatturato della sua azienda non consenta gli investimenti di decine di milioni di euro affrontati per il varo di Agon Channel.
Ci sono state persone che hanno sparato nel mucchio e sono usciti articoli di stampa gravemente diffamatori. Chi ha scritto menzogne e propagato grossolani falsi storici sarà chiamato a risponderne in Tribunale.
Con un articolo pieno di accuse l’ha attaccata duramente il Giornale. C’entra qualcosa Berlusconi?
Questo lo ipotizza lei. Io posso solo farmi domande banali e chiedermi come mai la famiglia proprietaria del Giornale di Milano abbia consentito che tutto quel fango venisse ospitato e pubblicato. Mi sono stupito. Possibile che un signore che si è lamentato per vent’anni dell’ostracismo subito a causa del suo attivismo nella sfera televisiva permetta un accanimento simile nei confronti di una persona che lavora in quello stesso campo?
Nell’articolo in questione si dicono tante cose. Si sostiene ad esempio che nella causa da lei intentata a EnelPower, un tribunale albanese abbia deciso di darle ragione e riconoscerle un indennizzo di 440 milioni di euro. E che uno dei giudici fosse precedentemente stato il suo avvocato.
Una balla sesquipedale. Vergognosa. Aspetto le prove. La vertenza riguarda esclusivamente una società di cui non sono più né amministratore delegato né socio. Della sanzione inflitta dal tribunale albanese, solo per essere chiari, io non ho visto comunque una lira e in ogni caso, la storia è un po’ diversa. Parte da lontano. All’alba del 2000, quando in Albania non voleva andare nessuno, visitai il Paese per studiare la possibilità di investirci. Individuai un impianto a Kalivac e scrissi all’Enel, allora monopolista in Italia, per proporre una partnership sulle energie rinnovabili in Albania.
Risposta?
Mi dissero che se fosse stata confermata la fattibilità di quel che avevo in mente, sarebbero stati ben felici di procedere all’accordo. Fino ad allora, nel mercato albanese, Enel non era riuscita a entrare. Così presi la concessione, sottoposi la vicenda a tutte le verifiche del caso e mentre l’iniziativa stava per partire, venni improvvisamente convocato d’urgenza a Milano dal signor Giuffrida, amministratore delegato di EnelPower. Lì accade qualcosa di impensabile.
Cosa accade?
Che Giuffrida e il suo collaboratore amministrativo, violando il piano previsto in origine, mi informarono di aver ricalcolato una maggiorazione dei costi dell’impianto stimata in 50 milioni di euro.
Avrebbero voluto decurtarli dai suoi previsti proventi?
Esatto. Risposi serenamente: “O voi mi dimostrate che esiste una ragione tecnica per cambiare le carte in tavola a un’ora dall’inizio dei lavori o io non consento che venga modificato il piano di spesa”. Giuffrida mi guardò con commiserazione: “Tu sei un bravo ragazzo, un ragazzo in gamba, ma noi siamo l’Enel e tu fai quello che diciamo noi”. Mi alzai, uscii e citai l’Enel in arbitrato. Pochi mesi dopo, Giuffrida e il suo collaboratore vennero arrestati in un’inchiesta definita dai media il vaso di Pandora della corruzione italiana. Ci sarebbe molto altro da dire sui conflitti di interesse esistenti sull’arbitrato e su certi ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo persi dal colosso energetico per manifesta infondatezza, ma è materia per gli avvocati. Io penso ad altro e non mi arrendo mai. Vuole sapere perché?
Ci dica.
Per ottenere quel che mi spetta di diritto posso combattere tutta la vita. È una questione di principio. Di sicuro non sono stato facilitato. Se ti opponi ai soprusi non campi facile. Non mi infastidisce la lotta e non ho paura di aspettare anni per vedere riconosciute le mie ragioni. Il fattore tempo l’ho smemorizzato. L’ho cancellato. A irritarmi è altro. L’insinuazione gratuita ad esempio, mi innervosisce molto.
Nella tv ha investito suo zio, Manlio Cerroni, già re di Malagrotta.
Quando a mio zio Manlio Cerroni, considerato tra gli uomini più potenti d’Italia, chiedevano se fossi il suo delfino, la risposta era sempre: “È il figlio del fratello di mia moglie”. Potrei rispondere nello stesso modo: “È il marito della sorella di mio padre”. La mia tv comunque non c’entra niente con il suo modello. Nella sua Tv, Roma Uno, domina l’informazione. Nella mia va in scena l’opposto. Il gusto è basato su quello che io credo che la gente voglia vedere in televisione. Giochi, talent, qualche soap opera che iniziamo a produrre da soli e un piccolo spazio dedicato alle notizie perché i lunghi telegiornali che vanno dal pastone politico alla curiosità sull’ultima pelliccia e i sermoni dei direttori fanno parte di un altro secolo. Cerco un tv agile, fatta da 600 persone e non da seimila. Non voglio produrre altri carrozzoni indebitati.
Cairo sul modello informativo ha imperniato La7.
Non guardo mai a quello che fanno gli altri, di sicuro ho fatto una scelta diametralmente opposta alla sua.
Per AgonTv Sabrina Ferilli ha intervistato Walter Veltroni, Wanna Marchi e Alì Agca.
E lo ha fatto da straordinaria professionista. Contratto, la sua trasmissione, è un format originale di Agon. La dimostrazione che si può inventare. Lanciare nuovi talenti. Autoprodurre. La Rai non lo fa più come una volta.
Che rapporto ha con la tv di Stato?
Io buonissimo, loro non so. Sulle reti di Stato erano previsti degli spot saltati all’ultimo istante perché, mi hanno detto, Gubitosi eccepiva sulla presenza di alcuni volti Rai che continuano ad avere rapporti lavorativi con Viale Mazzini. Ad Agon facciamo una tv semigeneralista perché non so se la generalista morirà, ma so che un ripensamento è inevitabile. Non solo in termini di contenuti.
Lei è proprietario anche di una vera squadra di calcio al tempo stesso oggetto di un reality in onda su Agon.
Il Leyton Orient. È una delle più antiche squadre inglesi. È in terza serie.
Su Twitter i tifosi non sono contenti. La accusano di aver rovinato il club.
Lo dicevano anche a Roma, quando con la pallavolo riempimmo il palazzetto con tredicimila persone e vincemmo lo scudetto. Bisogna aspettare, avere pazienza e poi magari ricredersi. L’anno scorso il Leyton è arrivato a giocarsi lo spareggio per salire in seconda serie. L’ha perso e ha avuto una ricaduta psicologica. Io ho confermato tutti, ma i due attaccanti che l’anno scorso avevano segnato 40 gol, solo per dire la stranezza del calcio, quest’anno non hanno ancora visto la porta. In panchina ho un ottimo allenatore, Fabio Liverani. Sono sicuro che faremo benissimo.
In una sua intervista si racconta che fin da bambino frequentasse le discariche.
Quando avevo quattro anni, quasi mezzo secolo fa, le discariche a cui si riferisce quell’articolo non esistevano. Io andavo solo a trovare mio padre che lavorava all’impianto di riciclaggio di rifiuti a Ponte Galeria, un’altra storia. Una forzatura giornalistica, come quella del partecipante al reality di Agon sui bodyguard che ha sostenuto di aver subito non so quale trattamento di sfavore. Piccinerie, gossip, robaccia.
La chiamano ancora l’80 per cento delle stelle della tv italiana per chiederle di trasferirsi ad Agon come dichiarò in estate?
Io nomi non li faccio, le percentuali le confermo.
Sui giornali però non ha avuto esattamente l’accoglienza che si riserva a un mecenate.
Ci sono poteri che non riuscendo a proporre alcuna novità campano di rendita e fanno azioni di disturbo. Io aspetto. Ho il tempo dalla mia parte e mi muovo. Loro sono immobili.
C’è chi la vede innovatore e chi la vede inaffidabile, per dirla alla romana un sòla. Si vuole descrivere lei?
Se fossi stato un sòla, sarei già finito da tempo, se fossi stato un mecenate forse qui non sarei nemmeno arrivato. Sono soltanto uno che si impegna dalla mattina alla sera e che ha un paio di limiti. Non accetto le ingiustizie, rifiuto i compromessi e quando ho ragione, so rompere le palle come nessuno.
da Il Fatto Quotidiano del 4 gennaio 2015
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