"La norma l’ho fatta inserire io", ha fatto sapere il premier, ma sulla vicenda non è stata fatta ancora totale chiarezza. L'ex sindaco, ad esempio, non ha reso noto l'identità del tecnico che le 4 righe incriminate le ha scritte e infilate nel decreto: dall'appartenenza politica del loro autore si capirebbe molto circa lo scopo della norma
Renzi: “La norma l’ho fatta inserire io“. Ancora Renzi: “Quell’articolo l’hanno scritto quelli del ministero dell’Economia”. Palazzo Chigi: “La norma tornerà in Cdm“. Il premier: “Cambieremo la legge”. Lo stesso premier: “La ripresenteremo in Parlamento” così com’è. C’è un discreto grado di confusione nelle dichiarazioni incrociate di premier e presidenza del Consiglio dei ministri sulla genesi e sul futuro della cosiddetta norma salva Berlusconi infilata alla vigilia di Natale nel decreto di attuazione della delega fiscale. Perché sul famigerato articolo 19 bis che ha scatenato un vespaio di polemiche sul governo il premier ha prima fatto finta di cadere dal pero e poi ne ha rivendicato la paternità, senza però arrivare al grado di chiarezza necessario a fare luce su una vicenda che getta la propria ombra sul cammino delle riforme.
Le quattro righe incriminate appaiono per la prima volta nel testo licenziato dal Cdm del 24 dicembre, con l’opinione pubblica concentrata soltanto sull’inizio della tre giorni di festeggiamenti natalizi. “Non credo sia così, ma se così fosse sono pronto a bloccare la legge e a cambiarla“, è la prima reazione del premier il 4 gennaio, giorno in cui sulle prime pagine dei quotidiani campeggiava la notizia della norma salva-Berlusconi. Di lì a poco Palazzo Chigi spiegava che il premier “ha chiesto questa mattina agli uffici di non procedere alla formale trasmissione alla Camera del testo approvato in Consiglio dei Ministri. La proposta tornerà prima in Consiglio dei Ministri, poi alle Commissioni, quindi di nuovo in Consiglio per l’approvazione definitiva”. Presupponendo la possibilità che il testo possa essere modificato. Invece davanti alle telecamere del Tg5, poco dopo, Renzi dice un’altra cosa: “Noi ci fermiamo, questa norma la rimanderemo in Parlamento soltanto dopo l’elezione del Quirinale, dopo che Berlusconi avrà completato il suo periodo a Cesano Boscone e dimostreremo che non c’è nessun inciucio strano”. Intendendo che il famigerato articolo 19 bis tornerà alle Camere senza alcuna modifica. La differenza è sostanziale perché secondo la maggioranza dei giuristi se la norma venisse approvata così avrebbe ancora l’effetto di restituire l’agibilità politica all’ex Cav.
Dopo un intero giorno in cui nel mondo politico si è scatenata la caccia alla “manina” che quella norma l’aveva inserita nel decreto, Renzi ha fatto coming out e ne ha rivendicato la paternità politica: “La norma l’ho fatta inserire io, ma avevo ricevuto rassicurazioni tecniche da avvocati e magistrati“, ha detto al Fatto Quotidiano. A questo punto, come chiesto da vari esponenti del Pd, un po’ di chiarezza non guasterebbe: il premier potrebbe dire, ad esempio, chi sono questi “avvocati e magistrati” che gli hanno assicurato che la norma non avrebbe avuto come effetto quella di riabilitare il Cavaliere, effetto che era apparso subito chiaro ai tecnici e ai commentatori interpellati dai vari giornali. Così come potrebbe trovare anche il tempo di tirare fuori il nome del tecnico che quelle quattro righe le ha scritte e inserite nel decreto: dal nome e dall’appartenenza politica del loro autore si capirebbe molto circa lo scopo della norma. A La Repubblica, invece, l’entourage del premier fornisce una versione diametralmente opposta: secondo il quotidiano romano Renzi “è pronto ad accusare il ministero di Padoan: ‘Sono stati loro – è il virgolettato attribuito al premier – quell’articolo l’hanno scritto loro, io non c’entro‘”.
Eppure se una cosa era emersa chiaramente fin dalle prime ore è che il testo non poteva essere nato che a Palazzo Chigi. Il ministero dell’Economia aveva messo in chiaro da subito di non saperne nulla: “È indubbio che il Mef non l’abbia messa: in molti non erano d’accordo – raccontava il 3 gennaio al Fatto Quotidiano il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti, di Scelta Civica – evidentemente in seno al Consiglio dei ministri si è deciso di modificarla all’ultimo”. E di inserirla nel decreto insieme a diverse altre modifiche: “Il Mef ha licenziato un testo molto più snello di quello che vedete oggi – ha spiegato a IlFattoQuotidiano.it Luigi Casero, viceministro all’Economia cui in un primo momento qualcuno aveva attribuito la paternità dell’articolo 19 bis – si parla solo di questa norma, ma tutta una serie di altre norme sono state aggiunte in un secondo momento, come quella che stabilisce che chi emette o utilizza fatture false non può essere perseguito se il valore della truffa è inferiore a mille euro. Per noi il tetto doveva essere a zero”.
“Nessun inciucio”, si affanna ad assicurare Renzi. Ma per non ricollegare l’accaduto al Patto del Nazareno si fa una certa fatica. E’ “la cosiddetta clausola di non punibilità. Vista la biografia di uno dei contraenti, saremmo tentati di non sorprenderci”, il commento di Lucrezia Ricchiuti, senatrice del Partito democratico e componente della commissione Finanze. Se per assurdo, inoltre, il testo fosse diventato legge e Berlusconi avesse avuto la possibilità di recuperare l’agibilità politica, l’elezione del successore di Giorgio Napolitano avrebbe avuto un percorso molto meno irto di ostacoli. Ancora una volta basta fare un po’ di attenzione alle tempistiche: il Cdm vara la norma il 24 dicembre, nelle stesse ore Berlusconi apre alla candidatura di Romano Prodi al Quirinale: “Silvio Berlusconi, la svolta sul Colle: va bene anche Romano Prodi”, titolava giusto il 23 dicembre Libero, quotidiano storicamente sensibile alle tematiche care all’ex Cavaliere. Nei giorni successivi aperture arrivavano anche dalla minoranza interna a Forza Italia (“Prodi – spiegava a IlFattoQuotidiano.it Augusto Minzolini, senatore e ex direttore del Tg1 – sarebbe l’opportunità di avere un chiarimento”) e persino degli ultraberlusconiani: “Prodi? Ormai il mio stomaco è talmente forte che dopo aver votato Napolitano, cosa vuole, posso votare chiunque”, assicurava il falco Daniela Santanchè. “La mossa di Berlusconi per trattare sul Colle: “Non direi no a Prodi”, titolava La Repubblica il 27 dicembre: “Su Prodi, fanno sapere ora dal cerchio magico, “certamente non c’è un veto”, scriveva il quotidiano romano.