Calcio

Ali bin al-Hussein sfida Blatter e si candida alla presidenza della Fifa

Il principe Giordano ha annunciato la sua corsa al vertice con un tweet e ha aggiunto che serve una federazione che stia fuori dagli scandali: "Sui titoli dei giornali deve andare lo sport e non la Fifa"

Dopo il ritiro di Michel Platini, c’è un avversario vero per Joseph Blatter alla ricerca della quinta conferma consecutiva alla guida della Fifa. Sarà l’attuale vicepresidente, il principe giordano Ali bin al-Hussein, a sfidare il 78enne svizzero per il vertice dell’International Football Association alle elezioni del prossimo 29 maggio. Una candidatura che rappresenta l’ultimo atto dell’avanzata di emiri e monarchi arabi nel mondo del pallone e che rischia di spaccarlo in due: da una parte i paesi “fondatori”, il blocco storico fedele al presidente in carica, dall’altra i nuovi padroni del football, capaci di salire ai vertici del calcio europeo (vedi Paris Saint-Germain e Mancester City) con i loro petrodollari. Il 39enne membro famiglia reale giordana ha deciso di comunicare la sua candidatura con un tweet: “Sono felice di annunciare che intendo candidarmi per la carica di presidente della Fifa”, ha scritto.

Una notizia del genere non avrebbe certo preoccupato il capo del calcio qualche anno fa, ma oggi le cose sono cambiate. I petrodollari del Golfo, che con tutta probabilità sosterranno la candidatura del figlio di Re Hussein di Giordania, hanno sempre maggiore influenza ai vertici del pallone e le polemiche seguite all’assegnazione delle edizioni dei Mondiali di calcio 2018 (alla Russia) e, soprattutto, 2022 (al Qatar) hanno minato la reputazione di Blatter e Platini. È stato dimostrato niente di penalmente rilevante, ma le notizie di presunte mazzette, scambi di favori e, addirittura, quadri di Picasso donati ai dirigenti Fifa e Uefa per fare pressione sui membri votanti non hanno certo rafforzato la fiducia nei confronti di Blatter e i suoi uomini.

Sarà proprio questo il punto forte della campagna elettorale del principe Ali bin al-Hussein: il suo primo obiettivo, fa sapere, è quello di “spostare l’attenzione dalle controversie amministrative e riportarle sullo sport. Il gioco che appartiene a tutto il mondo merita una classe dirigente di caratura mondiale, un’organizzazione efficiente che sia anche un modello di etica, trasparenza e buona governance. I titoli (dei giornali) dovrebbero riguardare il calcio, questo sport meraviglioso, e non la Fifa”. La lotta per la trasparenza, il principe l’aveva iniziata già a conclusione delle indagini interne condotte dalla camera inquirente del Comitato etico della Fifa, quando il capo dell’organo e responsabile dell’inchiesta, Michael Garcia, ha deciso di rassegnare le dimissioni perché insoddisfatto dei risultati ai quali è giunta la camera giudicante. Una situazione che ha portato al-Hussein a chiedere più volte la pubblicazione integrale del rapporto di Garcia. Richiesta parzialmente soddisfatta con la presentazione, a inizio dicembre, durante l’ultima riunione tenutasi a Marrakech, del documento “in maniera appropriata” da parte dell’esecutivo Fifa.

Con l’annuncio di al-Hussein, diventano tre i candidati per la presidenza dell’International Football Association, anche se l’ex dirigente francese Jerome Champagne, che già aveva annunciato la propria candidatura, non è sembrato da subito un rivale che potesse insidiare la leadership di Blatter. La situazione cambia, invece, con la decisione del principe giordano di entrare nella corsa alla presidenza: l’Europa, con il presidente della Uefa Michel Platini in testa, ha mostrato di gradire un cambio al vertice della Federcalcio internazionale e l’impegno di al-Hussein a sostenere l’iniziativa che ha portato la Fifa, due anni fa, a cancellare il divieto di indossare l’hijab, il velo islamico, nelle competizioni femminili rappresenta certamente un punto a suo favore. Almeno agli occhi dei Paesi arabi.