Agli inizi di dicembre “Una veduta di Roma dall’Aventino” di William Turner, il quadro considerato la più importante veduta della Città Eterna, è stato venduto da Sotheby’s, a Londra, per 30 milioni e 300 sterline. Appena un mese prima “Tete” di Amedeo Modigliani in asta a New York, ha raggiunto gli oltre 70 milioni di dollari. Mentre solo pochi giorni dopo “Flag”, una piccola bandiera a stelle e strisce dipinta da Jasper Johns, è stata venduta a 36 milioni di dollari. Cifre da record. Ma anche paradigmi di un modo tipico del passato di investire grandi somme ed esempi di un fenomeno in espansione. Anche in Italia.
Secondo una recente ricerca dell’Associazione italiana private banking, i Paperon de’ Paperoni di casa nostra investono in opere d’arte. Quasi la metà delle famiglie intervistate ne possiede una. Molte di più, quasi l’83 per cento, dichiara di essere interessata a ricevere informazioni sul tema dal proprio istituto bancario. Ecco la fotografia del collezionista: abita prevalentemente nelle grandi città, è uomo o donna e a fare la differenza è il suo patrimonio. Chi infatti possiede fino a un milione di euro dichiara nel 32 per cento dei casi di possedere opere d’arte. Una percentuale che sale al 55% per chi ha oltre un milione di euro e fino al 58,6% per chi ha in banca oltre cinque milioni di euro. Mercanti e gallerie, insieme alle case d’asta, sono ancora solidi intermediari, come certifica il 52% di casi documentati per i primi e il 21% per i secondi. Novità invece si registrano per quanto riguarda il rapporto con altre figure, tutte in crescita. Dagli esperti indipendenti, alle compagnie assicurative, ai commercialisti e alle banche. Anche se il loro approccio nei confronti dell’arte si è andato trasformando negli ultimi decenni. Come aveva segnalato a settembre scorso il critico d’arte Philippe Daverio, “fino agli anni ottanta i banchieri hanno sostenuto l’arte e hanno investito in questo settore. E’ sufficiente fare l’esempio di Morgan Stanley che comprava opere”. Ma dagli anni Ottanta in avanti, le cose sono cambiate. ”Siamo passati dal banchiere mecenate alla finanza crudele”, aveva notato il critico.
Il mercato dell’arte però continua a costituire un punto di riferimento per gli italiani più ricchi. Si può comprare e trovare di tutto, dai tradizionali dipinti all’archeologia, dalle sculture all’arte tribale, fino agli arredi d’epoca e ai tappeti. La pittura antica resta ancora un sicuro investimento. Ma con prezzi record. Anche per questo in crescita appare il mercato dell’arte contemporanea, con la ricerca di autori meno noti, sui quali rischiare. Anche se Claudio Borghi, autore del libro “Investire nell’arte. Il nuovo oro: come salvare i propri risparmi dalla crisi”, sostiene che, “con il nome noto è maggiore la componente di ‘valore già cristallizzato’ e minore la parte di possibilità di incremento. Con gli artisti emergenti si possono impiegare cifre minori e se si è bravi e fortunati si può trovare il Picasso di domani, ma il rischio che dopo alcuni anni il quadro non valga più nulla c’è”. Per questo motivo è necessario “sviluppare un occhio artistico, informarsi dai professionisti prima di acquistare opere d’arte”, come sosteneva André Rogger, responsabile della Collezione del Credit Suisse.
“Non siamo più un Paese che guida la crescita culturale, come è successo un tempo. Al contrario, siamo trainati”, sostiene Daverio. La differenza tra nuovi e vecchi mecenati forse è proprio lì. In passato si investiva nella realizzazione di nuove opere che costituivano anche grandi progetti culturali. Ora, si punta sul capolavoro da appendere nella sala da pranzo di rappresentanza, quando non si preferisce custodirlo nel caveau di qualche banca.