A causa di una tassa che non sarebbe stata pagata, il ministero della Sanità ha bloccato i conti del Panzi Hospital, fondato da Denis Mukwege, ginecologo più volte scampato ad attentati e vincitore del premio Sakharov per il suo impegno a favore delle donne vittime di violenza. Una figura scomoda per il governo congolese
Lo avevamo lasciato solo due mesi fa, mentre riceveva dal Parlamento Europeo il premio Sakharov per la libertà di pensiero, ultimo riconoscimento di una lunga serie: ma per il dottor Denis Mukwege, ginecologo congolese noto come l’uomo che “aggiusta le donne” vittime di stupri di guerra, non c’è pace. Più volte scampato fortunosamente ad attentati e imboscate che avrebbero potuto costargli la vita, ora il medico si trova a fare i conti con un avversario ben più subdolo. Il fisco.
Il Panzi Hospital, da lui fondato 15 anni fa a Bukavu, capoluogo della regione orientale del Sud Kivu, al confine col Rwanda, rischia la chiusura, se la situazione non verrà risolta. I conti dell’ospedale sono stati infatti bloccati dalla Direction Générale des Impôts (DGI). Tutto ruota attorno a una decisione del ministero della Sanità congolese, secondo cui l’ospedale sarebbe privato e come tale soggetto al pagamento di una tassa sugli stipendi di tutti i dipendenti, tassa che non sarebbe stata pagata e dunque ne consentirebbe il sequestro dei beni.
Ma la decisione del ministero è del tutto arbitraria, come denuncia la direzione dell’ospedale, poiché la struttura è da sempre integrata nel sistema sanitario nazionale e ha lo statuto di Ospedale Generale di Riferimento, che rende i suoi dipendenti parte integrante dello Stato e, come tali, sottoposti a una trattenuta alla fonte sullo stipendio. Così avviene per tutti i 500 ospedali generali di riferimento della Repubblica Democratica del Congo, tranne – a quanto sarebbe stato deciso da poco – per il Panzi Hospital. Una vera e propria discriminazione, secondo il personale dell’ospedale, che è in sciopero e ha manifestato pacificamente davanti alla sede locale della DGI.
Secondo la direzione dell’ospedale, si starebbero violando diversi diritti umani fondamentali, come il diritto alla cura e lo stesso diritto alla vita, per la carenza di farmaci provocata dal blocco dei fondi. Il braccio di ferro prosegue per via giudiziaria, anche se l’udienza fissata dopo l’esposto presentato da Panzi è stata rinviata sine die. Ma intanto il sequestro dei beni è andato avanti, nonostante le leggi del paese non lo consentano, poiché i salari sono tra i beni non sottoponibili a sequestro, secondo il Codice di procedura civile congolese.
La DGI ha inoltre proceduto senza rispettare il diritto al ricorso da parte dell’ospedale. Da notare che i salari dovrebbero esser pagati dallo Stato, ma non arrivano se non in minima parte, e la struttura funziona grazie alle donazioni internazionali, che confluiscono nella Fondazione Panzi, i cui conti sono regolarmente sottoposti a controlli da parte dei donatori, tra cui Banca Mondiale e Unione Europea.
Non si tratta solo di questioni burocratiche locali: durante la conferenza stampa tenuta dal dott. Mukwege, in cui sono stati spiegati in dettaglio i fatti, qualcuno ha posto anche la domanda più scomoda, ma la più ovvia: non è che tale improvviso accanimento contro una delle poche strutture sanitarie funzionanti, l’unica specializzata nella cura dei traumi fisici e psicologici post stupro (40mila donne curate), abbia a che fare con la presa di posizione pubblica del dott. Denis Mukwege contro la prospettata revisione delle costituzione, per consentire al presidente Joseph Kabila di ricandidarsi per un terzo mandato? Il medico non ha voluto rispondere, preferendo attenersi ai fatti ed evitare “speculazioni”. Ma il pensiero è diffuso tra la società civile, dove in tanti interpretano i fatti come una ritorsione politica.
Il dott. Mukwege è scomodo. Nei suoi numerosi viaggi all’estero non perde occasione per denunciare la guerra sporca in atto nel suo paese, gli interessi occulti, l’inefficienza della comunità internazionale e del suo stesso governo nel contrastare i gruppi armati, consentendo di fatto che migliaia e migliaia di donne vengano da anni considerate bersaglio privilegiato e colpite con la vile arma dello stupro di guerra.
Parla chiaro, Mukwege. E dà fastidio a molti, da tempo. Tanto più ora che la sua notorietà internazionale è in continua crescita, tanto più ora che è stato insignito del premio Sakharov ed è stato candidato al Nobel per la pace. Tanto più ora che – così in vista – non teme di denunciare le manovre in atto nel paese per modificare la costituzione. In un momento delicatissimo della vita democratica della Repubblica democratica del Congo, in cui persino il partito al potere si sta spaccando in lotte fratricide tra sostenitori ad oltranza di Kabila e suoi detrattori, una persona in vista come Mukwege non può permettersi di parlare di politica. E se lo fa, va fermato.