Forse è un incubo da pancia piena post natalizia e post capodanno: banchi e scaffali semivuoti. Non perché c’è stata la corsa all’accaparramento, ma per una ragione ancora più inquietante, che non dà scampo. Non ci sono più mele, pere, agrumi, castagne (e in altre stagioni non potremo contare nemmeno su fragole, ciliegie, pesche, albicocche, susine). E, assieme a tanta frutta, mancano carote, cavoli, broccoli, cipolle, aglio, prezzemolo, patate, basilico, soia e girasole. In estate non troveremo più zucchine e pomodori. Sono solo alcuni esempi di tutti quei prodotti che rischiano di lasciare un vuoto impressionante. Che non sarà riempito, se non prendiamo provvedimenti. Subito. Si, perché la vita di queste e altre piante dipende dal prezioso lavoro delle api (quelle allevate e le diverse specie selvatiche numerose soprattutto in Italia) e di altri insetti impollinatori, come i bombi. Possiamo fare a meno di loro, si potrebbe obiettare, magari facendo il lavoro manualmente, fiore dopo fiore. (Qualcuno ha tentato di farlo davvero!) E invece no. Perché moltissimi degli alimenti che portiamo in tavola esistono grazie a quel loro lavoro fondamentale e immenso.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, le colture il cui destino è legato a quello degli impollinatori rappresentano circa il 90 per cento del nutrimento mondiale. Un destino minacciato dai veleni chimici di sintesi usati in agricoltura: in testa i pesticidi sistemici, come i neonicotinoidi. Non meno preoccupante per la vita di questi insetti è l’introduzione di sementi ogm, anche con “modificazione nascosta”, ma questo è un capitolo a parte. Non cambia il drammatico effetto: con la moria degli impollinatori è fortemente minacciata la biodiversità. E i prodotti che ci nutrono. In Europa sono a rischio 4 mila colture diverse.
Sono numeri che fanno rabbrividire, eppure sembra che non debbano incidere minimamente sulla nostra vita quotidiana. Fatta di banchi e scaffali pieni, da assaltare con l’acquisto compulsivo e sprecone del nostro tempo. Senza farci troppe domande su cosa mangiamo (e cosa indossiamo), da dove arriva e come viene coltivato, qual è il prezzo: ambientale e sociale. Domande scomode che creano problemi, cattivi pensieri che rovinano le compagnie e il comodo andazzo di ciascuno di noi imposto dalla pubblicità e da un’informazione omologata. Soprattutto in tempi di Expo alimentare universale! I cattivi pensieri “possono essere rimandati”, lo ha detto anche un Tg a Natale, mentre si riempiono le nostre case, e le nostre pance, di cose spesso superflue e che fanno male ad ambiente e salute. In preda alla vorticosa corsa per feste e cenoni, ebbri di bollicine, e “bolle”, forse ci piace essere inconsapevoli. E affidarci a micro sondaggi che diventano notizie ingigantite per spiegare che in fondo al tunnel della crisi si intravede un lumicino. Fioco, ma amplificato quanto basta per farci illudere. Forse è per questo che in vetrina ci attraggono confezioni di pasta colorata a 5 euro per 250 grammi e pesche sciroppate enormi, invitanti, da 40 euro al barattolo. Del resto, è l’immagine che attrae, non le informazioni sul contenuto che ci rendono consumatori consapevoli, che premiano l’agricoltura pulita che fa vivere le api e anche il nostro mondo. Le loro antenne sono il nostro campanello d’allarme.
La moria di api e altri impollinatori non può lasciarci indifferenti, come se il problema riguardasse altri. Cosa aspettano i governi e l’Europa a mettere al bando i pesticidi sistemici e altri veleni? Speriamo che il 2015 porti buoni consigli!