Il gas propellente si deteriora e l’airbag scoppia quando non deve. Così negli Stati Uniti sono morte cinque persone e nel 2008 è iniziata la vicenda dei richiami ai componenti Takata, che ormai ha assunto dimensioni record
Costruire componenti per automobili è uno di quei mestieri ingrati, in cui si sale alla ribalta solo quando qualche cosa va male. È il caso della multinazionale giapponese Takata che impiega 35.000 dipendenti in tutto il mondo e che sta affrontando la più grossa crisi della sua storia. Non è la prima volta che l’azienda si trova alla prese con un maxi-richiamo, ma lo scandalo degli airbag che si sta consumando negli ultimi due anni appare di portata molto maggiore rispetto a quello del 1995, quando vennero sostituite le cinture di sicurezza a 8.428.422 auto vendute tra il 1986 e il 1991 negli Stati Uniti. E se venti anni fa i componenti difettosi Takata non avevano causato alcun decesso, stavolta la situazione è ben peggiore. I numeri sono impietosi: dieci case automobilistiche coinvolte – BMW, Chrysler, Ford, General Motors, Honda, Mazda, Mitsubishi, Nissan, Subaru e Toyota – oltre venti milioni di veicoli richiamati dal 2008 (di cui 13,4 milioni marchiati Honda) e almeno cinque decessi causati dai componenti difettosi.
Peraltro il richiamo riguarda modelli prodotti tra il 2001 e il 2007, tre milioni dei quali già sono già stati richiamati una volta, ma in maniera non risolutiva. Il difetto è nel deterioramento del gas propellente, cioè quello che serve per gonfiare l’airbag dopo l’attivazione della carica esplosiva comandata dai sensori. La conseguenza è che il sistema si potrebbe attivare quando non richiesto, causando la perdita di controllo del veicolo. Il colpo, anche per una big del settore (Takata detiene il 20% del mercato mondiale degli airbag), è forte e il primo a pagare è stato il presidente Stefan Stocker, licenziato pochi giorni fa. Al suo posto arriverà Shigehisa Takada, attuale amministratore delegato e nipote del fondatore dell’azienda, che lavorerà per almeno quattro mesi con stipendio dimezzato.
I problemi di Takata, però, difficilmente si risolveranno solo con un ribaltone direzionale. La difficoltà più grande, ora, è quella di riuscire a produrre tutti i pezzi necessari per le sostituzioni, senza considerare la Nhtsa – l’ente statale americano per la sicurezza stradale – che, dopo la figuraccia fatta con il maxi-richiamo General Motors e la nomina del nuovo segretario, non vuole lasciarsi sfuggire nemmeno una virgola. Infatti, Takata aveva inizialmente ignorato i moniti della Nhtsa, sostenendo che la decisione di attivare un richiamo nazionale spetti alle singole case automobilistiche.
Peccato che nel frattempo la vicenda sia arrivata all’opinione pubblica, tanto che le case stesse sono subito corse ai ripari. “Non abbiamo identificato difetti nel sistema di gonfiaggio degli airbag – ha dichiarato il gruppo FCA pochi giorni fa – ma sostituiremo ugualmente i componenti che sono oggetto di preoccupazione”. Persino Honda, che di Takata è stata a lungo il cliente più importante e che ne possiede una quota azionaria, ha iniziato a smarcarsi: visto l’elevatissimo numero di nuovi componenti necessari per il richiamo ha firmato un contratto con Autoliv e ha iniziato delle trattative con Daicel, due dei principali concorrenti. Ma anche con l’apporto di queste due aziende potrebbero servire almeno un paio d’anni per completare le azioni su tutte le auto.
Non è solo un problema di produzione ma anche di logistica, visto che le auto interessate sono sparse in tutti gli Stati Uniti e in molti casi anche nel resto del mondo. Visto che finora i guai più grossi sono arrivati solo per Honda, molte altre case – tra cui BMW, GM, Nissan e Mazda – hanno deciso di mettere le mani avanti e di procedere in maniera volontaria ai richiami, allargando l’area di interesse a tutti gli Stati degli Usa e non solo a quelli “ad alta umidità” individuati inizialmente, dove il clima potrebbe velocizzare il deterioramento dei gas propellenti.