Ciò che infastidisce non è l’inadeguatezza o la semplice non condivisibilità della soluzione: è il tentativo di nascondere che la soluzione è inadeguata o – prevedibilmente – non condivisa. Così è per l’ennesimo “Salva Ilva”. Non è proprio nozione diffusa. Ma è evidente che ci sono problemi che non hanno soluzione; perlomeno non hanno soluzione soddisfacente. Se Ilva (Taranto) continua a produrre ammazza la gente: è avvenuto negli anni passati e sta avvenendo ogni giorno. Dunque dovrebbe essere chiusa. Se poi fosse economicamente conveniente risanarla e produrre in condizioni di sicurezza, lo si faccia; dopo – solo dopo – si riaprano gli stabilimenti e si dia inizio alla produzione. Peraltro, come tutti sanno, risanare Ilva costa una quantità di soldi che non ha nessuno: non lo Stato e nemmeno privati imprenditori che vogliano farsene carico.
Quanto ai soldi sequestrati ai vecchi proprietari, i Riva, ci sono ma non sono disponibili: per servirsene bisognerebbe confiscarli; ma la confisca presuppone una sentenza definitiva di condanna che è ben lungi dall’arrivare. Tra l’altro, questo dimostra quanto un sistema giudiziario inefficiente sia dannoso per l’economia nazionale. Sicché chiudere Ilva si può, forse si dovrebbe; ma significa chiuderla per sempre. Ilva chiusa provocherebbe conseguenze devastanti sull’economia nazionale: la mancata produzione siderurgica di Ilva (Taranto) copre il 40% del fabbisogno nazionale. Si può sempre ricorrere alle importazioni ma il costo di questa soluzione viene stimato in 4/6 miliardi di euro all’anno: un onere probabilmente insopportabile per le imprese italiane del settore. A ciò si aggiungerebbe la perdita del posto di lavoro per circa 12.000 dipendenti dell’azienda; e per un numero non quantificabile di dipendenti dell’indotto direttamente connesso con Ilva Taranto e delle aziende che sarebbero travolte dall’aumento dei costi per l’acciaio di importazione. Economicamente e socialmente un disastro. Però non vi sono altre opzioni; e dunque si deve scegliere una delle esistenti.
In numerosi articoli apparsi su il Fatto tra il luglio 2012 e il gennaio 2013 scrivevo che il piano ideato dall’allora ministro dell’Ambiente Clini (poi finito in galera per corruzione ma in allora autoproclamatosi unica figura istituzionale competente a gestire il caso Ilva, con particolare esclusione della magistratura tarantina) era privo di senno e di senso. Di senno, perché soldi per adempiere alle prescrizioni contenute nell’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) Ilva non ne aveva; e perché i termini per realizzare le più significative tra queste prescrizioni (una fra tutte, la copertura dei parchi stoccaggio minerali con un edificio che sarebbe stato il più grande d’Europa) erano risibili. Di senso perché, ammesso che davvero Ilva potesse essere risanata e risanata nei termini, fino ad allora autorizzare la continuazione della produzione significava autorizzare la morte di un gran numero di persone.
Tanto avevo ragione (avevamo: molti altri scrivevano le stesse cose) che il nuovo “Salva Ilva” prevede due misure volte a ovviare a entrambe queste situazioni. I termini previsti nell’Aia slittano: adesso sarà sufficiente realizzare, entro il 31 luglio 2015, l’ 80% delle misure richieste dall’Aia; come previsto, sono in ritardo. E il commissario straordinario che gestisce Ilva e i suoi dipendenti saranno immuni da responsabilità penali: l’attuazione del progetto di risanamento previsto dalla legge è definito a priori come “adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.
Quanto alla percentuale di realizzazione: 80 % di che? L’unica interpretazione possibile è quella di far riferimento al numero delle misure prescritte. Che è proprio una presa in giro: si realizzano puntualmente le misure meno impegnative fino a raggiungere la percentuale richiesta; e si trascurano quelle più costose e importanti. E poi: cosa vuol dire realizzare? Bagnare i depositi di minerale e arretrarli di 80 (80!) metri può essere considerata misura idonea a evitare il disperdersi di polveri? Infine, quanto al salvacondotto concesso al Commissario, sembra quello che il Cardinale di Richelieu dette a Milady De Winter, incaricata di uccidere Lord Buckingham: “È per mio ordine e per il bene dello Stato che il latore della presente ha fatto quello che ha fatto” (Dumas – I tre Moschettieri). Costituzionalmente inaccettabile. E, se la magistratura tale lo ritenesse, si finirebbe dritti avanti alla Corte costituzionale.
È evidente che tra la morte di un numero indeterminato di cittadini e il disastro economico che la chiusura di Ilva cagionerebbe, il governo ha scelto la prima opzione. Come ho detto, ci sono problemi che non hanno soluzioni ottimali. Però è ingiusto non spiegare con chiarezza ai cittadini i motivi della decisione e non assumersi apertamente questa tremenda responsabilità. Questo è ciò che ci si aspetta da un Uomo di Stato; è anche vero che un politico ragiona in un altro modo…
Il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2015