Uno dei presunti attentatori ha 32 anni, origine algerina ma nato in Francia, a Parigi. Nel 2005 non riuscì a partire per la Siria nel 2005 perché fermato dalla polizia, ma negli ultimi mesi ci sarebbe riuscito partecipando ai combattimenti nelle formazioni del Califfato islamico
La chiamavano la filiera irachena del 19° arrondissement. Una rete che reclutava giovanissimi immigrati magrebini di seconda generazione nelle vie periferiche di Parigi per formare milizie da mandare in Iraq. Ragazzi poco più che ventenni, indottrinati in una moschea un po’ arrangiata gestita da un predicatore di pochi anni più grande. Tutti con un sogno: combattere fianco a fianco con i mujaheddin tra Fallujah e Baghdad, inquadrati nelle formazioni che facevano riferimento al capo di Al-Qaida Abou Moussab Al-Zarkaoui.
È questo il background di uno dei tre presunti componenti del commando che ha ucciso 12 persone nell’assalto alla redazione di Charlie Hebdo il 7 gennaio. Si chiama Cherif Kouachi, 32 anni, origine algerina ma nato in Francia, a Parigi. Il suo nome – identificato probabilmente grazie alle impronte digitali trovate nell’automobile abbandonata subito dopo l’agguato – ha riportato la polizia francese ad un processo del 2008, che lo aveva visto condannato a tre anni di reclusione per associazione terroristica.
Quell’inchiesta era nata quasi per caso grazie ad una telefonata anonima. Nelle strade del quartiere a nord est di Parigi – la stessa zona dove viene abbandonata l’automobile usata nell’assalto a Charlie – in quel gruppo di ventenni mandati a combattere in Iraq si conoscevano tutti. Piccoli furti, droga, traffici di periferia. Un contesto raccontato con mastria dal film francese L’odio, uscito negli anni ’90. Con una novità, un salto inaspettato verso un’altra vita. Tutto nasce dall’incontro con un altro ragazzo di periferia, Farid Benyettou. È un giovanissimo predicatore, che li convince ad abbracciare l’Islam, accogliendoli in un centro studi aperto nella sua abitazione. I giornali francesi dell’epoca riportano il racconto del loro cambiamento: “Velocemente le loro famiglie fanno tutte la stessa constatazione – si legge su un articolo di Le Monde del 2008 -. I loro ragazzi smettono di fumare, di bere, di fare i piccoli traffici. Ma nello loro camere, senza che loro ne sappiano nulla, navigano i siti islamisti radicali, guardano i video della jihad”.
Cherif, come tanti altri, si prepara al salto verso i combattimenti sul campo, verso il martirio. L’organizzazione pensa a tutto, prepara i documenti falsi, li allena, fornisce i rudimenti nell’uso dei Kalashnikov. Poi la partenza, verso Damasco, in Siria, dove qualcuno li accoglie e li accompagna verso il fronte. Era il 2005, e Al Qaeda era ancora l’organizzazione chiave dell’islamismo radicale nell’area. Molti di quei ragazzi del 19° arrondissement non torneranno più a casa; qualcuno, come Cherif, non riuscirà a partire, fermato prima del viaggio dalla polizia criminale francese.
Alla fine del processo Kouachi viene condannato a tre anni di reclusione. Rimane in carcere dal 29 gennaio 2005 all’11 ottobre del 2006, nel penitenziario di Fleury-Mérogis (Essonne). Uscito dal carcere se ne va a lavorare in un supermercato, tornando invisibile. Il 25 maggio del 2010 – riporta Le Monde – torna in carcere, sospettato di aver preso parte ad un piano di evasione di Smaïn Ait Ali Belkacem, mente dell’ondata di attentati in Francia del 1995. A ottobre esce di nuovo dal carcere, liberato per mancanza di indizi. La Jihad, però, rimane la sua meta. Secondo alcune informazioni provenienti da fonti investigative, Cherif avrebbe fatto alcuni viaggi in Siria nei mesi passati, partecipando ai combattimenti nelle formazioni del Califfato islamico.
La questione chiave che scuote la Francia – e l’Europa – è capire se i tre assalitori erano isolati. I precedenti li mettono in stretto collegamento con la rete jihadista presente in Francia e la caccia all’uomo avvenuta nella redazione di Charlie Hebdo – secondo le testimonianze il gruppo cercava giornalisti ben precisi, tra i quali Chabd, il direttore – potrebbe far pensare ad una organizzazione più ampia. Ad una mente, ad una centrale del terrore. Ovvero l’ipotesi peggiore.