In "La parola contraria" (Fetrinelli), l'intellettuale rivendica le dichiarazioni a favore delle azioni contro i cantieri in Valsusa, che gli sono costate un processo per istigazione a delinquere, al via a Torino il 28 gennaio. "Se lo avessi inteso in senso materiale, sarei andato a farlo". E ironizza sulla rediviva accusa di essere un "cattivo maestro"
“Rivendico il diritto di adoperare il verbo sabotare come pare e piace alla lingua italiana. Il suo impiego non è ristretto al significato di danneggiamento materiale, come pretendono i pubblici ministeri in questo caso”. E’ esteso per esempio a “uno sciopero” o a “un ordine eseguito male” o un “ostruzionismo parlamentare”… Erri De Luca travasa in un pamphlet sulla libertà di parola il caso giudiziario che lo vede coinvolto per le sue dichiarazioni sulla lotta No Tav in Valsusa. O meglio sulla libertà di dire “La parola contraria“, titolo del libro pubblicato da Feltrinelli (64 pagine, 4 euro), in uscita il 14 gennaio (oggi in Francia). Il 28 gennaio lo scrittore napoletano, già capo del servizio d’ordine di Lotta continua a Roma fino al 1976, comparirà davanti al tribunale di Torino dopo il rinvio a giudizio per istigazione a delinquere.
Il tema è tornato recentemente alla ribalta con gli incendi alle centraline della linea ad alta velocità a Bologna il 23 dicembre, con conseguenti pesanti ritardi nella circolazione dei treni, un “salto di qualità” rispetto al danneggiamento di cantieri di una linea al momento inerte come quella della val Susa. Lo stesso Caselli è tornato a sottolineare, su Il Fatto Quotidiano del 27 dicembre, “le spregiudicate teorizzazioni secondo le quali i reati di sabotaggio contro il cantiere Tav di Chiomonte non sarebbero da condannare, ma anzi giustificabili e persino encomiabili”. Perché, rimarca il magistrato oggi in pensione, “tutti i reati sono da condannare”, a meno di non “piegarsi all’idea terribilmente berlusconiana di una giustizia à la carte“. Per concludere: con la “storia dei compagni che sbagliano abbiamo già dato negli anni Settanta”.
Così, nell’imminenza del processo, con “La parola contraria” Erri De Luca ripropone l’eterno dibattito sui confini della libertà d’opinione, sul discrimine tra legalità e protesta politica, sul rapporto tra intellettuali e movimenti. “Se dalla parola pubblica di uno scrittore seguono azioni, questo è un risultato ingovernabile e fuori dal suo controllo”, scrive De Luca, che nelle pagine del pamphlet mette in discussione il concetto stesso di “istigazione” alla base del reato che lo vede imputato, e che prevede pene da uno a cinque anni di reclusione. E anzi confessa l’aspirazione ad accomunarsi a George Orwell, che con il suo “Omaggio alla Catalogna” sugli anarchici nella guerra di Spagna “mi ha spostato la direzione della vita”. Questa è “l’istigazione alla quale aspiro”, nei confronti di una lotta, quella dei No Tav in Valsusa, “diffamata e repressa”. E nel contempo sfida i pm di Torino, Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, a dimostrare un nesso causale tre le sue dichiarazioni all’Huffington Post e concreti episodi di danneggiamento. Una petizione politica più che giuridica, dato che secondo il codice penale la contestazione dell’istigazione a delinquere non richiede che qualcuno sia poi passato effettivamente all’azione.
“Dopo la fabbricazione dei fazzoletti di carta le persone si sono soffiate il naso. E prima?”, ironizza De Luca, che fa altrettanto sulla rediviva accusa di essere un “cattivo maestro”, rivendicando al contrario il suo passato scolastico da “cattivo allievo”. “Se avessi inteso il verbo sabotare in senso di danneggiamento materiale, dopo averlo detto sarei andato a farlo”. Nell’aula del tribunale di Torino il 28 gennaio 2015 “non sarà in discussione la libertà di parola”, conclude. “Quella ossequiosa è sempre libera e gradita. Sarà in discussione la libertà di parola contraria, incriminata per questo”.