“Voi ipocriti, smettete di difendere Dio uccidendo l’uomo, e difendete l’uomo affinché possa conoscere Dio!”. Queste sono le parole di Gibrano Khalil Gibran sul quale il mondo arabo e islamico avrebbe bisogno di soffermarsi a lungo, sopratutto guardando le immagini crudeli dell’attentato al giornale satirico Charlie Heabdo.
Piovono condanne da tutte le parti: un fiume di messaggi di solidarietà, quasi per esorcizzare un duro attacco al cuore dell’Europa. Un’Europa che appare debole e stanca, che ha smarrito negli ultimi anni anche il suo senso critico verso questioni di grande delicatezza e di basilare importanza. Senza dubbio il messaggio di vendetta invece è ben chiaro: l’attacco terroristico al giornale satirico francese avviene in una data precisa, si è appena conclusa la celebrazione della nascita del Profeta Maometto. Il giorno dopo, cercando di superare il dolore e facendosi coraggio, fanno impressione i tanti commenti impregnati di ideologie razziste, che usano le vittime per invocare un contrattacco, dichiarando una nuova Guerra santa.
Nel tentativo di esorcizzare le proprie paure, si perde però il senso critico e la capacità di analizzare, rileggere e capire ciò che accade attorno a noi. Infatti, se notate, si parla di politica estera solo quando ci sono disastri o stragi. Come se bastasse parlare delle conseguenze, senza conoscere le cause, per risolvere i problemi. Invece bisognerebbe discutere le politiche estere disastrose dell’Europa, sopratutto in Medio Oriente, e interrogarsi e rendere pubblico il nome di chi ha finanziato, sostenuto, addestrato questi terroristi.
In ogni caso è difficile non pensare al ruolo della Francia in Medio Oriente, al suo intervento in Libia (paese oramai allo sfascio totale), alle sue posizioni ambigue in Siria, dove ha sostenuto i combattenti contro il governo di Damasco, e i due attentatori sono reduci di addestramenti proprio in territorio siriano. La stessa Francia quasi schizofrenica, che ieri chiamava gli stessi terroristi di oggi, combattenti per la libertà.
Ma se per l’opinione pubblica occidentale è stato un duro colpo, per quella araba, è solo l’ennesima strage, che rischia di confondersi tra le altre. Il pubblico arabo sembra anestetizzato dalla morte: il giorno dell’attentato di Parigi, solo nello Yemen, ci sono state 37 vittime di un attentato terroristico. Basterebbe uno sguardo alla stampa araba per rendersi conto dello smarrimento che sta attraversando quel mondo, della forte contraddizione tra gli stimoli della vita moderna ed i precetti e le regole di una religione ancorata al passato, spesso ostaggio degli estremisti che la trasformano in violenza pura, uccidendo nel nome di Dio.
Ma se sperate di vedere sulle prime pagine la scritta: JeSuisCharlie. Mi dispiace deludervi. Tutte le testate arabe governative riportano quanto accaduto ieri a Parigi più o meno allo stesso modo: cronaca quotidiana di un attacco di terrorismo, senza analisi dei fatti, senza approfondimenti, evitando accuratamente di riportare la vicenda delle offese al profeta Maometto, probabilmente per non urtare la sensibilità del pubblico.
Generica e diplomatica condanna dell’atto in sé, quindi. Del resto, non dimentichiamo che la maggior parte dei paesi arabi, proprietari di queste testate, sono tra i maggiori investitori e soci d’affari dell’Occidente, sia indirettamente attraverso accordi bilaterali consolidati tra paesi del Nord Africa e l’Europa, sia direttamente come il Qatar e l’Arabia saudita, tra i protagonisti della nuova economia francese, coinvolti in tutti i conflitti mediorientali.
Le priorità della stampa araba però, sono diverse, perché sono diversi anche valori: la libertà di espressione che l’Occidente sente attaccata, è una questione poco sentita.
Perfino in quei paesi grandi alleati dell’Occidente, che si sono affrettati a condannare l’attacco, di libertà d’espressione non c’è l’ombra. In Qatar è recente il caso del poeta Ben Elzib, condannato a quindici anni di detenzione per aver criticato il principe in una poesia, mentre in Arabia Saudita lo scrittore Raif Badawi, attende proprio oggi l’esecuzione della pena di fustigazione dopo la condanna per apostasia, avendo osato mettere in discussione la religione islamica.
Tutt’altra storia invece sono i commenti dei lettori, e forse corrispondono di più al sentimento che serpeggia nella opinione pubblica araba. Tralasciando i commenti estremisti, le affermazioni più comuni si possono riassumere in poche frasi: l’Islam non c’entra nulla con questi criminali, il primo ad essere danneggiato da questo crimine è l’Islam, la nostra religione non insegna l’uccisione degli innocenti. Ma oltre a queste abbastanza prevedibili, la posizione dominante tutto sommato sarebbe: “Siamo contro la morte dei civili, ma non piangeremo per la morte di chi ha offeso il nostro Profeta”.
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