Il massacro degli inveterati libertini, gli anarchici irridenti di Charlie Hebdo, non merita davvero una commemorazione tutta buoni sentimenti e luoghi comuni, retoriche e ipocrisia; palese negazione della loro cifra intellettuale: l’uso demistificante della ragione critica, contro cui si sono accaniti i tagliagole nerovestiti.
1) “Siamo tutti Charlie” proclamano i retori pronto intervento in una sagra del perbenismo compunto; dimenticando che sino al giorno prima quel giornale era oggetto di riprovazione sdegnata da parte dell’opinione benpensante, per il suo cinismo amorale e sessuomane. Lo stesso sdegno che aveva accompagnato fino dall’inizio Hara-Kiri, il suo progenitore che si autodefiniva “bête et méchant”; dove fece i primi passi Georges Wolinski (presentandosi “fallocrate dal fiato fetido”). Ora tutti ne parlano come di un’adamantina frontiera di libertà. Non lo ritenevano tale quando lo slogan di lancio era “se non potete comprarlo, rubatelo”. Poco più che ragazzo ricordo l’indignazione che suscitò la sua proposta ribalda per risolvere la fame nel mondo: dare in pasto metà degli affamati all’altra metà. Dunque, non un Parnaso di Libertà, ma un crocevia della dissacrazione. Che poi è la scorciatoia della Liberazione;
2) “Difendiamo i valori dell’Occidente”, proclamano i tenorini con boccuccia a cuore – da François Hollande a Ezio Mauro – in un florilegio di “non abbasseremo la guardia” e “non ci faremo intimidire”. Purtroppo è anche questo tremendismo verbale una concausa della tragedia: l’incomprensione di quanto accaduto sotto forma di spirale terroristica. Eppure in Francia ci fu un’avvisaglia già nel 2005, quando i casseurs, le terze generazioni di immigrati maghrebini, misero a fuoco le banlieue parigine. Allora i Giuliano Ferrara sproloquiarono di jihaidismo. Bastò a smentirli il vecchio Jean Daniel, spiegando che le periferie bruciavano per il fallimento delle politiche di accoglienza/integrazione (in quei quartieri l’insuccesso scolastico colpiva un giovane su due, contro medie nazionali di uno a cinque, e la disoccupazione raggiungeva già quota 45%). Ora il direttore dell’École des hautes études parigina Nilüfer Göle, spiega che le ragazze d’origine araba tornano loro stesse al velo come resistenza a un’assimilazione vissuta come prevaricazione. Purtroppo la rabbia senza scopo ha trovato uno scopo nell’idiozia del califfato universale. Utopica demenzialità che chiama in causa clamorose demenzialità occidentali: tutti ricordiamo la follia delle presunte armi di distruzione di massa iraniane, con cui venne preso a calci il termitaio medio orientale diffondendo il contagio ad ampio raggio; nessuno ricorda le demenzialità anni ‘20 con cui gli anglo-francesi crearono l’entità artificiale Iraq o il colpo di Stato Cia in Iran, che nel 1953 depose il primo ministro Mossadeq per sostituirlo con il gendarme petrolifero Reza Pahlavi;
3) “La prima vittima è l’Islam moderato”. Per favore. I due miliardi di islamici nel mondo rifiutano certamente l’assassinio ma, in quanto appartenenti a una religione monoteista rivelata condividono il principio estremizzato dai boia: l’equiparazione della critica alla blasfemia. Sicché – piaccia o meno – il loro oscurantismo è bagno di coltura in cui cresce e si fortifica l’estremismo. I macellai di Parigi e dell’Isis hanno il loro ritratto nell’album di famiglia coranico. A prescindere dalle distinzioni come acrobazie argomentative;
4) “Tornare alle radici cristiane per rinforzare la lotta la terrorismo”, dice il mestatore opportunista Salvini. Il problema semmai sono le religioni, il cui integralismo contrapposto si alimenta sinergicamente: dal tempo in cui crociati e mezzelune trovavano la propria identità nel reciproco sgozzarsi.
In sostanza – onorando il lascito libertino di rue Nicolas Appert – rendiamoci conto che il terribile contagio devastatore delle nostre società può essere curato solo con una decisa riaffermazione dei valori laici (“saggezza dell’Occidente”), coniugata con un progetto di rilancio nella sfera materiale che offra plausibili speranze inclusive in controtendenza alla disperazione oggi dominante (“l’Occidente come opportunità”). L’intelligence preventiva è importante ma non risolutiva, in uno terremoto di questa entità; e le politiche carcerarie impraticabili. Non a caso la situazione è degenerata negli ultimi decenni in cui la finanziarizzazione NeoLib ha incrementato a dismisura le disuguaglianze sociali e la precarizzazione. Ci ha incattiviti.
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