La prima pietra era stata posata nel 2007, ma all’asilo nido dell’ospedale “Galmarini” di Tradate (provincia di Varese) non è mai stato accudito nemmeno un bambino. La realizzazione della struttura, finanziata da Regione Lombardia e dall’azienda ospedaliera di Busto Arsizio, è costata ai contribuenti più di mezzo milione di euro: 126 mila di contributo regionale e 427 mila di fondi aziendali.

L’edificio, incastonato nel parco dell’ospedale, era stato pensato per ospitare una ventina di bambini, tra lattanti e bimbi già svezzati, distribuiti sui 300 metri quadri di struttura, dotata di ogni comfort ed energeticamente all’avanguardia. Alla cerimonia di posa della prima pietra, nel dicembre del 2007, presenziò il consigliere regionale della penultima giunta Formigoni, Luca Daniel Ferrazzi (che era stato eletto nelle fila del Pdl), storico rappresentante dell’area An proprio come l’allora direttore generale all’azienda ospedaliera, Pietro Zoia.

All’epoca il direttore motivò la scelta di realizzare un asilo nido, spiegando che: “A fronte del numero di maternità verificatesi negli ultimi anni e guardando alla natura aziendale ospedaliera e, quindi, alla consuetudine di avere molto personale femminile, è importante offrire ai nostri lavoratori un servizio di asilo nido in modo da facilitare un corretto bilanciamento tra le esigenze personali e famigliari e la crescita professionale”. Insomma, infermiere, dottoresse, segretarie e altre lavoratrici avrebbero avuto a disposizione un loro nido, come si conviene alle aziende più evolute.

Meno di due anni più tardi, nell’estate del 2009, l’asilo nido era pronto. Lindo e pinto. 300 metri quadri di struttura interna e 300 metri quadri di giardino recintato ad uso esclusivo. A settembre dello stesso anno la cooperativa Punto Service (che si aggiudicò la gestione del servizio) ricevette una sola iscrizione, impossibile far partire il nido. I termini vennero prorogati, ma nessuno si fece avanti e non si raggiunse il numero minimo di iscrizioni.

Ormai la struttura era stata completata e non si poteva certo tornare indietro. Fallito il tentativo di aprire il nido alle mamme lavoratrici, l’azienda ospedaliera provò a coinvolgere i comuni del territorio, poi si provò la via degli accordi con le aziende, vennero promossi open-day e serate pubbliche, ma anche a settembre del 2010 le iscrizioni non arrivarono. Il direttore generale provò a darsi una spiegazione: “Le richieste di iscrizione in effetti sono state pochissime, forse per le rette a prezzi di mercato, con gli effetti della crisi sulle famiglie che appena possono si affidano ai nonni”.

Oggi siamo nel 2015, la regione è passata sotto la guida di Roberto Maroni, l’azienda ospedaliera ha un nuovo direttore generale e, con il mutare delle condizioni socioeconomiche, di asili nido non si sente più l’esigenza, tanto che il servizio non è nemmeno più stato affidato. In attesa di una ricollocazione che sa di impossibile, con una spesa sanitaria in continua contrazione, la struttura è ancora lì, intonsa. Anzi, mostra già i primi segni di deterioramento. La facciata perde tono e colore, un grosso telo di plastica copre una parte del tetto, sbirciando dalle finestre impolverate si intravede qualche magagna qua e là.

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