Una bandiera con i colori giallo-blu della Carrarese sventola orgogliosa appesa a una statua in marmo bianco nel piazzale del Comune. Dietro, dalla finestra al primo piano del palazzo, si intravedono coperte, cuscini e sacchi a pelo accuratamente piegati e riposti sotto un tavolo in attesa della notte. È la sala di rappresentanza del Comune di Carrara occupata dai cittadini l’8 novembre scorso per chiedere le dimissioni della giunta di centro-sinistra, in seguito all’ultima, l’ennesima – dal 2003 se ne sono contate 4 – alluvione che ha messo in ginocchio la città.
Turni di notte e di giorno, servizi di pulizia, gruppi di lavoro, assemblee, pranzi al sacco e tavole imbandite per cena, anche per Natale e Capodanno. Il biglietto da visita del municipio adesso è un enorme striscione bianco con la scritta blu “Carrara Assemblea Permanente”. Son passati due mesi e i carraresi (o meglio i carrarini, come si dice in dialetto), da lì, non hanno intenzione di andarsene. Non ancora. “Continuiamo a chiedere le dimissioni della giunta – spiega Michele Ravenna, arredatore di 30 anni, uno dei portavoce dell’Assemblea – ma siamo pragmatici e sappiamo che non lo otterremo solo sedendoci su queste sedie. Decideremo di volta in volta le strategie e le azioni. Quello che è sicuro è che vogliamo continuare a esistere, come un collante tra la cittadinanza e l’amministrazione e come cane da guardia di quest’ultima. Per questo abbiamo bisogno di spazi idonei, che indicheremo noi (il sindaco ha proposto all’assemblea di lasciare la sala in cambio di un fondo nel centro storico, ndr)”.
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Salendo le scale si arriva in un lungo corridoio, che divide la sala presidiata dai cittadini dall’aula del consiglio comunale. Le pareti sono tappezzate di riquadri di giornale, di foto della città sotto il fango e di poster dei palazzi e dei luoghi della cultura abbandonati a se stessi, diventati emblema della “città che crolla”. Appesi anche il calendario dei lavori, i numeri di telefoni, le mail di riferimento. E in alto, davanti all’aula della politica, come un monito, un altro enorme striscione: “#Carrarasiribella”. Un motto diventato virale su Twitter e che molti presidianti hanno fatto proprio tatuandoselo sul braccio, sulla mano, sul costato. Ma il vero motto dell’assemblea, in realtà, è “Non abbandonare la città”, frase simbolo della Resistenza carrarese, pronunciata da Francesca Rolla, promotrice della rivolta delle donne contro le truppe di occupazione tedesche nel luglio del 1944. E’ lei l’eroina modello di questa protesta, che assomiglia molto al movimento degli indignados spagnoli, con la differenza che, qui, non ci sono leader.
A portare avanti da due mesi il presidio ci sono giovani e giovanissimi, studenti o lavoratori. Ma anche donne e uomini con i figli piccoli al seguito. Liberi professionisti, avvocati, operai, architetti. E ancora attori, musicisti, fotografi, cassaintegrati e disoccupati. E infine i pensionati, come Alfredo Mazzucchelli, di 75 anni, figlio del noto anarchico e partigiano Ugo Mazzucchelli. Tutti carraresi, di nascita o adozione, che si sono tolti i loro vessilli politici per entrare a fare parte di un’assemblea di cittadini dichiaratamente apolitica. Chiedono le dimissioni della giunta, considerata responsabile dell’alluvione e del decadimento “culturale, sociale ed economico della città”. Ma anche maggior trasparenza, più partecipazione alla cosa pubblica, la messa in sicurezza del territorio e la riapertura dei luoghi della cultura.
“Non abbiamo più luoghi della cultura, né un teatro, né un cinema, né una biblioteca. Quale futuro ha mio figlio in questa città?”, si chiede Fabio Ronconi, 49 anni, tecnico del Nuovo Pignone. “Hanno distrutto le nostre montagne per l’arricchimento di pochi e provocando un grosso danno erariale”, spiega invece Paolo Vaira, artigiano, attivista e guida ambientale di 38 anni, che ha preferito lasciare Carrara per andare a vivere a pochi chilometri di distanza, a Fivizzano, “dove si respira aria pulita”. “I nostri rappresentanti si sono dimostrati incapaci di governare”, aggiunge ancora Nicola Rapisarda, bagnino di 31 anni, che accusa la giunta di non riuscire a garantire la sicurezza dei cittadini. “Vivono su un altro pianeta, sono sordi ai cittadini – continua – Questa assemblea è un’occasione per farci ascoltare e partecipare alla cosa pubblica”.
Ci sono giorni di noia, con ore trascorse a fare avanti e indietro nella sala, strimpellando la chitarra, leggendo un libro, aspettando che arrivi qualcuno. Altri, molto più intensi, pieni di incontri, dibattiti, anche litigi. Sono stati formati sette gruppi di lavoro, da quello tecnico a quello cultura, passando per manifestazione e aiuti (agli alluvionati). Studiano insieme il territorio, preparano progetti e documenti da presentare al consiglio comunale, organizzano eventi culturali e cortei. Poi portano tutto in assemblea, che si riunisce tre volte a settimana (con tanto di diretta streaming) e che ha raggiunto picchi di partecipazione di oltre duecento persone. C’è un moderatore, a rotazione, ognuno ha tre minuti di tempo per parlare e si vota per alzata di mano. Il criterio è la maggioranza schiacciante. Hanno chiesto e ottenuto l’approvazione, da parte del consiglio comunale, di un ordine del giorno sul bilancio partecipato e gli autobus gratis per gli alluvionati senza auto. Adesso scenderanno nuovamente in piazza, il 17 gennaio, per un altro degrado-tour – il primo è stato fatto nel centro storico – tra i luoghi abbandonati, questa volta ad Avenza.
Il sindaco, Angelo Zubbani, tuttavia, contattato da ilfattoquotidiano.it, avvisa che “la tolleranza sta per finire – dice – Abbiamo cercato il dialogo più volte, offrendo anche due fondi nel centro storico per le riunioni. Hanno rifiutato, sostenendo che la loro richiesta è che la giunta si dimetta. O ‘fora il loz’, come gli piace gridare in dialetto. Adesso però c’è una parte della cittadinanza che reclama quella sala, fino a due mesi fa usata anche per cerimonie e presentazioni di libri e l’amministrazione non può far finta di niente”. Non parla di sgombero ma di “decisione da prendere a breve termine”.
A proposito poi delle accuse che gli rivolgono i presidianti – quello di aver mandato in malora la città – si difende chiedendo di “dare tempo al tempo”. “Sono a metà del secondo mandato – dice – e ci vuole tempo per vedere i risultati ai problemi che si trascinano da decenni. Alcuni sono ritardi nostri, certo, come la vicenda del Teatro degli Animosi per cui sono stati stanziati 3,9 milioni di euro. I tempi non possono essere velocizzati più di tanto in quanto si tratta di interventi delicati su un edificio storico di pregio verso il quale anche il cantiere deve procedere con assoluta cautela per eseguire i progetti a regola d’arte e per la tutela di coloro che vi stanno lavorando. L’obiettivo resta quello di poter restituire il teatro alla città alla fine di quest’anno”.