“In Italia la politica sembra godere di questo attentato, come se non stesse aspettando altro per chiedere vendetta”, racconta il giornalista iracheno Younis Tawfik mentre per l’egiziana Rania Ibrahim siamo “ad un nuovo 11 settembre”, figlio di quello che il libanese Camille Eid definisce “l’evidente clima di tensione tra Europa e mondo arabo”. La strage nel giornale satirico Charlie Hebdo, dove dodici persone hanno perso la vita freddati al grido di “Allah akbar”, “chiede al mondo arabo di prendere posizione. Ma perché dovrei rispondere di quel che hanno fanno dei terroristi che non rappresentano la mia religione?”. Rania Ibrahim è una giornalista musulmana nata a Il Cairo che vive a Milano dall’età di 2 anni. Ibrahim ha scelto di non pubblicare neppure una parola sulla carneficina francese. “Sono stanca di combattere una battaglia persa. Sembra di essere in un nuovo 11 settembre – racconta la blogger di Corriere.it e di Yalla Italia – Di nuovo mi trovo a spiegare che sono araba ma non sono una terrorista. Se qualcuno agisce in nome di Allah sento che l’Italia perde fiducia in me solo perché della stessa religione”.
Tensione. È la parola ripetuta dai giornalisti arabi in Italia raggiunti da Ilfattoquotidiano.it. Tensione nella comunità musulmana, negli arabi che si sentono discriminati da atti che non gli appartengono. Tensione tra arabi non integrati ed europei. Tensione generata dai politici che fanno leva anche su questi episodi per guadagnare consensi. “Il clima nella comunità islamica è molto pesante” continua Younis Tawfik, giornalista (per la Stampa, Repubblica, Il Mattino) e scrittore iracheno in esilio in Italia dal 1979. “E’ fallita la politica di integrazione del mondo arabo – dice Tawfik – E questo mi fa temere non solo per l’aumento del fondamentalismo in Italia ma in tutta Europa”. Secondo lo scrittore iracheno il mondo arabo deve smettere di stare con le mani in mano e iniziare a lottare per isolare i terroristi in Europa. Peccato che, stringendo il focus all’Italia, “manca un legame tra la comunità araba e le istituzioni” che rende deboli le operazioni di controllo, mentre “dovremmo capire le ragioni del terrorismo e curarle coinvolgendo l’intera comunità”.
Tensione generata anche dalla stampa. Da una parte quella “non autorevole” del mondo arabo che secondo il giornalista libico di Radio Popolare Farid Adly copre le azioni di questi terroristi, ma anche da quella italiana. “Fa paura quanto i media italiani abbiano dato spazio a politici che come sciacalli hanno sfruttato la morte di dodici persone per guadagnare qualche consenso”, racconta la voce del network milanese. C’è un senso di vergogna all’interno della comunità araba: “Sono sdoganati gli insulti contro l’Islam. Fomentato l’odio – continua la giornalista egiziana Ibrahim – In Italia il dialogo interreligioso ha fallito”.
Le vignette su Maometto – per Ibrahim “inutili e offensive” – al mondo arabo non piacciono. “Ci dovrebbe essere un limite alla libertà di espressione dettato dal buon senso – conferma Camille Eid, giornalista libanese di Avvenire – Non a caso uno dei motti dei jihadisti è ‘se voi avete libertà di espressione, dovete sopportare la nostra libertà di azione’”. Ma “è inutile trovare nei principi dell’Islam la radice di questo gesto” spiega Farid Adly, evidenziando come la questione sia di carattere politico. “È in atto una gara tra il Califfato di Al Baghdadi e Al Qaeda a chi agisce in modo più atroce per dimostrare la propria leadership”. Un attacco che quindi “non deve scagliarsi contro i musulmani ma contro queste logiche strategiche”, gli fa eco Rania Ibrahim.
Anche se è evidente la diversità tra la comunità musulmana italiana e quella francese, secondo Farid Adly l’Italia non deve abbassare la guardia. “Il Califfo ha detto più volte che l’Isis ‘conquisterà Roma’ – precisa la voce di Radio Popolare – e il governo italiano deve prestare attenzione agli oltre cento jihadisti italiani che sono andati a combattere in Siria”. Come per il giornalista libico anche secondo il libanese Eid è difficile non vedere una correlazione tra il vortice di violenze in medio oriente e l’attacco a Charlie Hebdo. “L’attacco al giornale satirico è una diretta conseguenza della politica mediatica che l’Isis ha fatto in Occidente – spiega Eid riferendosi ai video delle decapitazioni di giornalisti e cooperanti europei e statunitensi con cui si è fatto conoscere il Califfato Islamico – Ricordiamoci che i media occidentali sono il primo ufficio stampa dell’Isis e gli hanno permesso di raggiungere diversi lupi solitari in Europa. Se i giornali facessero silenzio stampa l’Isis morirebbe”. Rischiamo quindi la stessa situazione della Francia? “In Italia non vedo un tale – conclude la penna libanese di Avvenire – Ma non sappiamo dove porterà l’intolleranza verso un mondo arabo che non riesce a integrarsi”.