Ora che tutto sembra finito, la storia comincia invece sul serio. Perché si tratta di affrontare il fenomeno terrorista: non di corta durata, intermittente, teso a colpire alla cieca per sfuggire alla prevenzione.
Molto di ciò che è stato detto e scritto in questi giorni è utile per capire cosa non bisogna fare. Si è assistito ad una ubriacatura di scenari in cui spesso aleggiava l’idea di un’organizzazione Spectre-Al Qaeda o di una Piovra-Califfato-Isis, che pianificano una lotta all’ultimo sangue contro l’Occidente. Sono volati slogan di dubbio senso come “Attacco all’Europa” e la parola “Guerra” è stata ripetuta con voluttà quasi a significare una battaglia finale tra la Luce e le Tenebre tipo Armageddon. Dove la Tenebra era ovviamente l’Islam, concepito come qualcosa di “incompatibile” con la civiltà contemporanea. Il concetto sottotraccia era – magari con espressioni meno nette – quello espresso da Salvini: c’è un mondo a noi ostile che ci vuole “occupare militarmente e culturalmente”.
Non è così, l’idea di una guerra all’Occidente immaginata come nuova invasione di barbari, metodicamente programmata, è una farneticazione. L’Islam normale comprende oltre un miliardo di persone. Esiste invece il Terrorismo, un’escrescenza malata in certe regioni dell’Islam come in altre culture e zone del mondo in vari momenti storici. L’organizzazione militare di alcuni gruppi equivale alla potenza delle Brigate Rosse, quando attaccarono e uccisero “professionalmente” la scorta di Moro in via Fani e rapirono lo statista. Vedremo purtroppo ancora in azione gruppi efficienti, ma ciò non avvalora automaticamente l’immagine di una “guerra” finalizzata alla scomparsa dell’Occidente. Quello a cui abbiamo assistito è stato un attacco “in Francia”, non alla Francia. Così come in passato abbiamo assistito ad attacchi “in Gran Bretagna” oppure “in Spagna”, a cui non è seguita affatto una guerra agli Inglesi o agli Spagnoli. Così come la distruzione delle Torri Gemelle, insieme ad altri attentati a istallazioni statunitensi, non è stata poi l’inizio di una guerra totale all’America.
Il terrorismo ha bisogno di azioni dimostrative, di vendette, di sanguinose operazioni propagandistiche, ma per sua natura è frammentario. I collegamenti possono esserci, ma anche no. Tutto è fluido. Alcuni si rifanno a organizzazioni strutturate, altri agiscono secondo regole fai-da-te, vi sono cellule – come gli assassini di Charlie Hebdo – provenienti da esperienze di conflitti sul terreno. Siria, Libia, Irak, Cecenia, Bosnia, Afghanistan. È una galassia, nutrita da Internet, quanto di più variegato e individualizzato che ci sia. Contro questo fenomeno, senza un’oncia di giustificazione, serve agire con l’intelligence e la repressione chirurgica. Senza sollevare polveroni che mescolano la richiesta di pena di morte e la caccia all’emigrante con la retorica del conflitto di civiltà.
Va tenuto conto al contempo dello scenario della globalizzazione. Non è che si può pensare che sia possibile torturare “laggiù” ad Abu Ghraib, ammazzare decine di persone innocenti con droni che sbagliano obiettivo o fare strage di civili a Gaza e poi non succede nulla “da noi”. La società globale è uno spazio aperto. Azioni e reazioni vanno in scena ovunque. La costruzione di un tessuto di convivenza va attuata ovunque e sempre e da tutti. Bernard Henry Levi ha esortato a non cadere nella psicosi della fortezza assediata. Esattamente. Al contrario, dobbiamo vivere e sviluppare i valori democratici.
Il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2015
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