Le indagini sui depistaggi messi in atto dopo l’omicidio di Peppino Impastato devono continuare. Lo ha deciso il giudice per le indagini preliminari di Palermo Maria Pino, bocciando la richiesta di archiviazione del pm Francesco Del Bene. Il sostituto procuratore del capoluogo siciliano indaga dal 2011 sulle manovre messe in campo dai carabinieri dopo l’omicidio di Impastato, il 9 maggio 1978 a Cinisi. Iscritti nel registro degli indagati ci sono quattro militari dell’Arma che parteciparono alle perquisizioni in casa Impastato dopo l’omicidio dell’attivista antimafia di Cinisi: il generale Antonio Subranni per favoreggiamento, Carmelo Canale, Francesco De Bono e Francesco Abramo per falso. Reati sui quali si è ormai abbattuta la scure della prescrizione: per questo motivo Del Bene aveva chiesto l’archiviazione, dato che soltanto Canale ci aveva rinunciato.

“La notte in cui morì Peppino i carabinieri vennero a casa nostra e sequestrarono diversi documenti appartenuti a mio fratello che raccolsero in quattro grossi sacchi neri. Quando anni dopo chiesi la restituzione dei documenti mi riconsegnarono soltanto sei volantini” aveva denunciato Giovanni Impastato, fratello del militante di Democrazia Proletaria, depositando un esposto in procura che aveva fatto aprire l’inchiesta.

“Che fine ha fatto tutto il resto del materiale appartenuto a Peppino? Perché è svanito?” si chiedeva Impastato. Per cercare di capirlo, i pm della procura di Palermo hanno quindi ricostruito i passaggi successivi alle morte del giornalista che metteva alla berlina il boss mafioso Tano Badalamenti. Il pm Del Bene aveva scoperto una serie di discrepanze nell’inchiesta dei militari dell’Arma. Non era mai stata interrogata, per esempio, la donna che avrebbe potuto essere la testimone chiave l’omicidio Impastato. Si chiama Provvidenza Vitale ed era la casellante di turno al passaggio a livello tra Cinisi e Terrasini la notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. I carabinieri scrissero che era irreperibile. E invece, a parte una breve trasferta da alcuni parenti negli Stati Uniti, la donna non si è mai mossa dalla cittadina in provincia di Palermo. A rintracciarla, 35 anni dopo, il pm Del Bene: Vitale, che è ormai ultranovantenne, ricorda ormai ben poco della notte dell’omicidio Impastato.

Gli inquirenti hanno messo le mani anche su un verbale redatto dai Carabinieri con scritto: elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe. Solo che il sequestro informale non è previsto dalla legge, ed è praticamente illegale. Agli atti dell’inchiesta anche un altro verbale, questa volta autorizzato e formale che certifica solo il sequestro di sei fogli tra lettere e volantini, che contenevano scritti d’ispirazione politica e con propositi di suicidio. “Da casa nostra però – spiega Giovanni Impastato – portarono via anche molto altro: ricordo appunti di Peppino sulla strage della casermetta”. Un episodio ancora avvolto nel mistero quello della strage della casermetta di Alcamo Marina, a pochi chilometri da Cinisi.

Il 27 novembre del 1976 vennero trovati crivellati di pallottole i carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Le indagini dei militari portarono all’arresto di quattro giovani del luogo: Giuseppe Vesco, Gaetano Santangelo, Giuseppe Gulotta e Vincenzo Ferrantelli. Vesco morì in carcere, impiccato nonostante fosse privo della mano destra. Gli altri tre invece furono torturati e convinti a suon di botte a firmare la confessione. Oggi, più di trent’anni dopo, hanno ottenuto la revisione del processo riuscendo ad essere scagionati da un delitto che non avevano commesso. E che è ancora oggi orfana degli autori. Potrebbe incrociare anche la strage di Alcamo Marina, quindi, la nuova indagine ordinata dal gip Pino sul caso Impastato. Solo che i reati di falso e favoreggiamento sono ormai prescritti: l’unico reato ancora perseguibile sarebbe soltanto un’eventuale concorso nell’omicidio del ragazzo di Cinisi che si era ribellato all’origine mafiosa della sua stessa famiglia.

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