It’s close to collapse. In terms of new investments – there will be none, everyone is retreating, people are being laid off at most companies”
Robin Allan, su the BBC news

Il primo ministro scozzese si chiama Nicola Sturgeon, è una donna ed è una fervente sostenitrice dell’indipendenza di Scozia. La scorsa estate, al tempo della campagna elettorale per sancirne l’indipendenza dal Regno Unito, disse che la regione era prossima ad un secondo “oil boom”. La speranza era che le trivelle avrebbero magicamente fatto arricchire tutti. Secondo il partito indipendentista della Sturgeon, lo Scottish National Party (SNP), il 90% degli introiti totali del petrolio inglese sarebbe finito nelle casse di una Scozia indipendente.

Un’enorme ricchezza visto che la Scozia ha solo il 9% della popolazione di tutto il paese. E infatti uno degli slogan Snp di maggior successo è “it’s Scotland’s oil”. Ma già da anni si parlava di produzione volatile e di campi petroliferi in declino: dal 2012-2013 al 2013-2014 il petrolio estratto dal Mare del Nord è calato del 17%. Niente paura: visto che i prezzi salivano vertiginosamente – da dieci dollari al barile nel 1998 si era arrivati a più di centoventi in anni recenti – era ancora possibile sognare ad occhi aperti: anche se estraggo meno, ricavo di più. La Scozia avrebbe creato un petrolfondo sovrano, come la Norvegia, e non avrebbe sperperato tutto come il Regno Unito.

Passano pochi mesi, e com’è diversa la realtà. Il prezzo del petrolio è calato di oltre la metà e c’è la folle corsa al risparmio con vendite, progetti abbandondati, fusioni, tagli di personale e di investimenti in tutto il mondo. Anche in Scozia. Robin Allan, presidente dell’associazione Brindex esploratori indipendenti, ha spiegato alla Bbc che quasi nessun nuovo progetto nel Mare del Nord può essere redditizio a un presso inferiore ai 60 dollari al barile e che quindi tutti gli operatori si stanno ritirando. Il titolo della Bbc è laconico: “L’industria del petrolio nel Mare del Nord è vicina al collasso”. I campi esistenti diventano sempre meno redditizi, non ci sono nuovi investimenti per cercarne di nuovi a causa del crollo del prezzo del greggio. Aggiunge Allan: “In termini di nuovi investimenti non ci sarà nessuno nel 2015, tutti licenziano, e i bilanci per il 2015 sono tagli da parte di tutti” con “un’ondata di perdite di posti di lavoro” e di contratti non rinnovati.

Secondo Goldman Sachs per rimanere competitivi, sarebbe necessario che i petrolieri tagliassero il 30% delle loro spese. E così, la Conoco Phillips Uk ha già tagliato 230 su 1.650 posti di lavoro ed ha annunciato il taglio del 20% degli investimenti. La Schlumberger ha cancellato vari progetti di esplorazione petrolifera e ha smantellato la flotta di navi air-gun nel paese accollandosi 800 milioni di dollari di perdite e licenziando un numero imprecisato di posti di lavoro. Le ditte Wood Group e Apache hanno annunciato congelamenti e tagli di salari del 10%.

Che fare? Nicola Sturgeon è adesso a capo dell’Snp e viene accusata di essere impreparata alla crisi. E il secondo oil boom? Beh, non c’è stato ovviamente: dei venti miliardi di petrosterline previsti per tre anni, ne arriveranno adesso sì e no cinqueNel frattempo le misure di supporto per l’industria del petrolio freneticamente approvate nel paese sono state possibili “because we can draw on the combined strength and resources of the United Kingdom”, come afferma il segretario al Tesoro Uk, Danny Alexander. Cosa avrebbe fatto una petrolScozia da sola?

Tutto questo pone interrogativi interessanti anche in Italia. C’e’ qualcuno che si chiede se sia saggio insistere in questo scenario globale, con il petrolio di casa nostra – scadente, poco, costoso da raffinare e da estrarre – e che si chieda quale sia la linea sotto la quale trivellare diventa economicamente folle? 100 dollari? 70 dollari? 50 dollari? O trivelliamo quale che sia il costo? O che si chieda da dove li andremo a prendere i petrolincentivi se saranno necessari? Sopratutto c’è qualcuno che magari si chieda se invece dello Sblocca Italia e dei buchi non sia forse meglio puntare su paesaggio, bellezza, turismo e vivere civile?

Forse sì: le magnifiche sei – Abruzzo, Marche, Veneto, Lombardia, Puglia e Campania – che entro il 10 gennaio presenteranno ricorso contro lo Sblocca Italia. Onore a loro.

Qui tutti i titoli di stampa sulla stampa Britannica sulla crisi petrolifera del paese

 

→  Sostieni l’informazione libera: Abbonati rinnova il tuo abbonamento al Fatto Quotidiano

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Abruzzo, traffico rifiuti speciali: quattro arresti. Indagata anche una suora

next
Articolo Successivo

Scienze della Terra: le stanno uccidendo, ma sono ancora vive

next