L’uomo trascinato in mezzo alla piazza era Raif Badawi, blogger, attivista e fondatore del sito “Liberali sauditi”.
È arrivato l’esecutore, protetto da agenti della sicurezza. E lì, al centro della piazza, ha iniziato a colpire con la frusta. Una, due, 10, 50 volte.
Ecco la testimonianza di chi ha assistito:
“Era a volto scoperto, tutti potevano vederlo. La gente si è messa in cerchio. Si chiedevano se fosse un assassino, uno che non pregava. Ha sollevato la testa verso il cielo, ha chiuso gli occhi e inarcato la schiena. Stava zitto, ma dall’espressione del suo volto potevi renderti conto del dolore che provava. L’agente lo ha colpito, contando ogni volta fino a 50, senza fermarsi. Quando ha finito, la folla ha iniziato a urlare ‘Allah-hu Akbar! Allah-hu Akbar!’ come se quell’uomo fosse stato purificato e liberato dal male”.
Dopo 15 minuti lo “spettacolo” è terminato. Il pulmino è ripartito.
È stato stabilito che quella scena dovrà ripetersi per altre 19 settimane consecutive, fino ad arrivare alla completa esecuzione di una delle pene cui Raif Badawi è stato condannato il 1° settembre 2014: 1000 frustate.
Pensare che quella pena, un castigo medievale, sia portata a termine è impossibile. Le frustate non si cicatrizzano in una settimana, la pelle rimane aperta. Non devono farlo.
Dove non sono arrivate a fermare le prime 50 frustate, le pressioni dei governi alleati forse riusciranno a convincere le autorità saudite ad annullare le altre 950 frustate. A quel punto, se la pressione cesserà, Raif Badawi finirà nell’oblio dell’altra pena che gli è stata inflitta: 10 anni di carcere.
L’Arabia Saudita ha condannato l’attentato della scorsa settimana a Parigi contro il settimanale satirico Charlie Hebdo, “colpevole” di aver offeso l’Islam con le sue vignette. Lo stesso paese ha condannato a 1000 frustate e 10 anni di carcere un uomo “colpevole” di aver offeso l’Islam coi suoi post.
Raif Badawi è un prigioniero di coscienza, il cui unico ‘reato’ è stato quello di esercitare il diritto alla libertà d’espressione fondando un sito per il pubblico dibattito.
Qui, l’appello di Amnesty International per la sua scarcerazione.
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