Diceva Tiziano Terzani che ci sono due forme di minima immortalità: una sono i libri, l’altra i figli. Ed è vero. Entrambi, figli e libri, sono, in qualche modo, estensioni di noi stessi, un tentativo di durare alla fugacità della vita. Con i figli spesso i genitori errano perché partono dall’assioma che essi siano di loro proprietà. In questo modo li condizionano, li spingono ad intraprendere percorsi che non sono i loro e non c’è vita più infelice di quella trascorsa a recitare un copione scritto da altri.
Con i libri molti scrittori fanno il medesimo errore di tanti genitori e cioè pensano che l’opera sia loro. Non è così. Come una gestazione, dopo la fatica di aver trascorso notti a scrivere, a correggere e rileggere, poi il libro, una volta pubblicato, diventa del lettore. Ed a volte il lettore ne da un’interpretazione persino alternativa a quella che l’autore aveva costruito parola dopo parola.
Quindi scrivere un libro, come procreare un figlio, è un tentativo di lasciare accese delle luci prima di affrontare il buio del tempo. E proprio come un figlio ogni libro per molti autori è unico, il più bello. Questo perché la magia della scrittura sgorga da quell’inconscio che spesso occultiamo con sovrastrutture imposte dall’ambiente sociale. Scrivere è un’occasione per ascoltare quella voce che spesso soffochiamo. Per questo ogni opera va rispettata, anche se pubblicare certi testi, per un editore, equivarrebbe a lanciarsi da un aereo e avere l’ardire di non usare il paracadute ma un ombrello come faceva Mary Poppins.
Per pubblicare un libro questo non basta. Se si avesse la pretesa di incidere un disco ogni volta che si canta sotto la doccia sarebbe un dramma. Ma nel mondo editoriale spesso si commette l’errore di dar voce e chi non ce l’ha. Per scrivere un libro e far spazio a quella voce interiore occorre costruire attorno ad essa una struttura di competenza fatta di umiltà e duro studio partendo dalla lettura e dall’esercizio costante di scrittura.
La scrittura da sempre è stata tra i primi riusciti tentativi di continuare a far vivere le proprie idee, le proprie parole anche dopo la morte. Sono trascorsi 700 anni e ancora oggi generazioni di studenti leggono il Decamerone di Boccaccio. Un libro può essere letto contemporaneamente da più persone e il lettore quei momenti di lettura li dedica solo ai pensieri dello scrittore. Leggere non è come guardare la Tv, richiede attenzione e partecipazione. Forse per questa ragione, nel tempo vigente in cui regna il pensiero breve, si legge poco. E’ frustrante per chi svolge con passione questo lavoro constatare che molti ragazzi giungono a lavorare (alcuni addirittura a prostituirsi) per poter comprare un Iphone e trascorrere ore a fissare uno schermo che non ha quella capacità di far sognare, riflettere e crescere che solo un buon libro possiede.
Nell’attuale mercato editoriale controllato da pochi gruppi espressione di lobby politico-economiche il compito di una casa editrice indipendente è quello di dar spazio ad autori competenti e coraggiosi che svolgono il ruolo di Lauren, la fidanzata di Truman che nel film cerca di convincerlo che tutto intorno a sé è una finzione. Si sente una grande necessità di libri in grado di dilaniare il velo tessuto da un’editoria di regime, oggi servono libri come Cristo si è fermato ad Eboli di Levi o Furore di Steinbeck o La capanna dello zio Tom di Stowe. Libri in grado di scuotere ed illuminare il buio del proprio tempo. Il compito di una casa editrice indipendente è dare un’altra versione che non sia mediata da interessi legati a vicinanze politiche: il fine dovrebbe essere quello di donare al lettore un momento di libertà.
Per far nascere un libro e cercare di farlo vivere in un mondo editoriale ammalato di potere e brama di protagonismo bisogna scegliere autori coraggiosi, disponibili a lavorare in tandem con la casa editrice. Ad intraprendere con essa un percorso di conversione culturale. Per l’editoria indipendente, ma anche per le tante piccole librerie stritolate dalle grandi catene, non è facile. Bisogna far di tutto per non far soffocare queste voci in grado di indicare nuovi percorsi alternativi proprio come faceva la redazione di Charlie Hebdo. Oggi tutti dicono di essere Charlie, ma prima dell’attentato ce n’erano pochi di Charlie in giro tanto che la rivista rischiava di chiudere perché voce libera e indipendente in una società in grado di indignarsi e partecipare solo quando scorre il sangue.
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