La cessione riguarda circa 4.500 megawatt distribuiti in sette centrali, tra cui quella di Fiume Santo, in Sardegna. Luca Barbetti, segretario nazionale Filctem: "Preoccupazione per il futuro dei lavoratori". Il numero uno del gruppo di Praga sostiene di avere una strategia "a lungo termine e focalizzata sullo sviluppo"
Lo “spezzatino” delle centrali italiane di E.On si farà, con buona pace dei sindacati preoccupati per la sorte di oltre la metà dei suoi lavoratori. La multinazionale tedesca ha infatti deciso di vendere le sue attività termoelettriche italiane al gruppo energetico ceco Energeticky un Prumyslovy (Eph). La cessione riguarda un impianto a carbone di circa 600 megawatt di potenza in Sardegna (Fiume Santo) e sei centrali a gas da circa 3.900 megawatt che si trovano a Livorno Ferraris (Vercelli), Tavazzano (Lodi), Ostiglia (Mantova), Ferrara, Trapani e Scandale (Crotone). In totale si tratta quindi di circa 4.500 megawatt, che per la società erano diventati più un peso che un’attività remunerativa vista la crisi dei consumi che ha investito il settore. L’operazione, che deve passare al vaglio della direzione Antitrust della Commissione Europea, dovrebbe concludersi nel secondo trimestre del 2015. Cifre ufficiali sul valore della transazione ancora non ce ne sono. Ma secondo l’analista di una banca d’affari straniera, citato dall’agenzia Reuters, dovrebbe aggirarsi intorno ai 500-600 milioni, di cui 200 per la centrale a carbone di Fiume Santo.
Tramonta così l’ipotesi che il gruppo tedesco possa vendere in un’unica soluzione l’intero pacchetto delle attività italiane. Era Edison che avrebbe dovuto acquistarle, ma evidentemente non è stato trovato un accordo. Anzi, Foro Buonaparte probabilmente ora è completamente fuori dai giochi, visto che per gli altri asset che la società tedesca vuole ancora cedere (l’idroelettrico di Terni, i 900mila clienti e la quota del rigassificatore Olt di Livorno) ci sarebbero già sul tavolo le offerte vincolanti di Erg, Hera e il fondo F2i partecipato da Cassa depositi e prestiti.
La società ha quindi scelto la strada della vendita a pezzi, esattamente quello che temevano i sindacati che proprio su questo avevano chiesto l’intervento del governo. Secondo una fonte sindacale ci sono in ballo circa 600 posti di lavoro, più della metà dei mille dipendenti che lavorano in E.On in Italia. Già a ottobre le tre sigle Filctem, Uiltec e Flaei avevano proclamato uno sciopero nazionale, poi sospeso in virtù del fatto che il ministero dello Sviluppo economico aveva promesso un tavolo ad hoc per dirimere la questione. Tavolo che però non è mai stato convocato. “Siamo preoccupati per questa decisione di E.On di vedere a pezzi. Si tratta di un operatore importante del sistema elettrico italiano e vogliamo conoscere il futuro del lavoratori”, ha commentato Luca Barbetti, segretario nazionale della Filctem. I sindacati vorrebbero tra l’altro i dettagli del piano industriale dell’acquirente. L’ad di E.On, Johannes Teyssen, ha comunque assicurato che lavorerà “strettamente con il nuovo proprietario, i nostri sindacati e i loro rappresentanti per determinare un percorso di successo per il futuro degli asset e dei nostri dipendenti”. Dal canto suo, Daniel Ketínsk, ceo di Eph, ha assicurato che la strategia della società “è a lungo termine e focalizzata sullo sviluppo. Confidiamo di collaborare per questo obiettivo insieme ai dipendenti e ai sindacati”.
E.On non è l’unica società ad aver portato a termine o annunciato cessioni di centrali termoelettriche. Il settore è in crisi a causa del crollo dei consumi elettrici tradizionali e della concorrenza sempre più importante delle fonti rinnovabili. Secondo le stime del sindacato, su 10mila addetti circa la metà rischiano il posto. A ottobre scorso la stessa Enel ha annunciato di aver chiuso 2.4 GW e altri 11 GW sono “potenzialmente da dismettere”. L’equivalente di ben 23 centrali.