Una battaglia combattuta a suon di DDOS (attacchi che rendono irraggiungibile il sito saturando la connessione, ndr) e attacchi più sofisticati che portano al defacement (la sostituzione del contenuto) dell’home page, di solito inserendo vignette pubblicate in passato sulla rivista satirica francese
L’hanno annunciato all’indomani della strage di Parigi e, come al solito, mantengono la parola. Con l’operazione #OpCharlieHebdo Anonymous ha chiamato a raccolta tutti gli hacktivisti per contrastare i terroristi sul campo che gli è più congeniale: la Rete. Una battaglia combattuta a suon di DDOS (attacchi che rendono irraggiungibile il sito saturando la connessione, ndr) e attacchi più sofisticati che portano al defacement (la sostituzione del contenuto) dell’home page, di solito inserendo vignette pubblicate in passato sulla rivista satirica francese. L’intervento di Anonymous, annunciato attraverso alcuni video su YouTube e un comunicato stampa nei giorni scorsi, punta a vendicare l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo smantellando le infrastrutture Internet dei gruppi jihadisti.
Al quinto giorno di mobilitazione, sul canale IRC di Anonymous dedicato all’operazione ci sono 400-500 utenti connessi, che discutono delle azioni e si scambiamo consigli su come muoversi per colpire i bersagli prescelti. Tra questi, probabilmente, anche semplici curiosi (il canale è pubblico) che non si avvicinano nemmeno ad avere le competenze per portare un attacco a un sito, ma ansiosi di seguire gli sviluppi della campagna o di rendersi utili segnalando possibili obiettivi. Nel mirino oggi c’è Kavkazcenter.com, un sito di news vicino all’estremismo islamico che oggi, per esempio, ospita in home page un articolo con le dichiarazioni del principe Charles-Philippe d’Orleans che prende le distanze dalla campagna “Je suis Charlie” definendo Charlie Hebdo un “volgare fogliaccio” espressione di una società composta da “atei sinistrorsi”.
Nel topic (l’argomento della discussione) gli Anon hanno inserito un link con l’elenco dei bersagli da colpire e anche alcune indicazioni operative, come “non avviate attacchi DDOS se non vi è richiesto”. La chat è a metà tra un gruppo di discussione e un elenco di lanci di agenzia. Anche se alcuni dei frequentatori abituali mostrano qualche segno di fastidio per la presenza dei “noobs” (termine dispregiativo per i “novellini” ndr) che affollano il canale, tutto sommato il clima è collaborativo. Se qualcuno esagera, viene buttato fuori da uno dei moderatori. Alle 14.13 viene segnalato che www.profetensummah.com è “down”, mentre altri utenti aggiornano costantemente gli account Twitter e Facebook sospettati di essere collegati a gruppi jihadisti. Gli elenchi vengono pubblicati in attesa che qualcuno si occupi di verificare ed eventualmente colpire gli utenti.
I “veri” attacchi vengono infatti decisi e coordinati nelle stanze chat private, in cui è possibile accedere solo con account registrati.
Nel corso della giornata il numero di utenti connessi aumenta, mentre qualcuno fa ironia sulla notizia dell’attacco di un presunto gruppo di hacker filo-jihadisti che ieri ha colpito alcuni account Twitter dell’esercito americano, pubblicando documenti e mappe relativi a obiettivi strategici in Cina e Corea del Nord. Materiale che però si è scoperto essere tutt’altro che riservato, ma piuttosto pescato dai siti Web di varie organizzazioni e think tank statunitensi che si occupano di geopolitica. Per il momento, per lo meno sul piano della cyber-guerriglia, gli Anon si dimostrano decisamente più efficienti e credibili dei jihadisti. Anche se questa parte della mobilitazione è solo quella più visibile.
Dove Anonymous può fare davvero male alle organizzazioni estremiste, infatti, è nel “deep web”, quella parte di Internet accessibile solo attraverso il circuito Tor (software per la navigazione anonima, ndr) e che viene usata, oltre che da dissidenti politici, giornalisti e attivisti per i diritti umani che agiscono in paesi governati da regimi che controllano il web, anche dalle organizzazioni clandestine legate all’Isis e ad altri gruppi estremisti. Difficile, però, che si abbiano notizie “ufficiali” riguardo questa parte dello scontro.