Quando domenica alle 14:30 la redazione de Le Soir, il principale quotidiano belga, è stata evacuata in seguito a una telefonata di minacce, in molti hanno temuto il peggio.
Immancabile, per certi versi criticabile ma sicuramente comprensibile, la roulette russa che si è scatenata dopo l’attacco terrorista a Charlie Hebdo. Nessun allarmismo, ma l’attacco a Parigi ha dimostrato quanto l’appello del califfo Abu Bakr Al-Baghdadi di colpire in Occidente rivolto ai cosiddetti “lupi solitari” non sia restato inascoltato, e quanto questo appello lasci temere altri episodi di terrorismo.
Anche se le più alte cariche delle istituzioni europee non osano dirlo, l’idea di colpire l’Europa al suo cuore non sembra così assurda, soprattutto se verranno prese quelle misure di sicurezza eccezionali che in molti chiedono a gran voce. L’altro giorno Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, mi ha detto di “non aver paura” e che non teme “alcun attacco per le istituzioni”. L’auspicio è che tanto ottimismo non sia sprecato.
Fatto sta che la sicurezza attorno ai centri nevralgici delle istituzioni comunitarie è aumentata negli ultimi mesi. È stato montato qualche tornello in più e si vede qualche poliziotto armato. Ma alla luce della furia omicida con la quale i tre terroristi si sono abbattuti sulla redazione del Cahrlie Hebdo, sembrano misure del tutto insufficienti.
Prendiamo il Parlamento europeo. La sua organizzazione è stata pensata come “aperta”, per permettere ai cittadini di accedervi senza troppe lungaggini. Sta di fatto che qualche mese fa, una trentina di manifestanti curdi hanno fatto irruzione all’interno della struttura con la facilità con la quale un coltello caldo penetra nel burro. Se al posto di bandiere e manifesti avessero avuto fucili e bombe sarebbe stata una carneficina.
Ma oltre alle istituzioni comunitarie, Bruxelles potrebbe essere il prossimo obiettivo dei terroristi per un motivo tutto geografico. Si da il caso che Bruxelles sia in Belgio, il Paese che, insieme a Regno Unito e Francia, registra i più elevato numero dei cosiddetti “freedom fighter” ovvero cittadini europei che partono volontari in Siria per combattere nelle fila dello stato islamico. Non dimentichiamo che proprio a Bruxelles lo scorso giugno un attentato in un museo ebraico ha causato la morte di quattro persone.
Domenica pomeriggio un uomo ha telefonato alla redazione de Le Soir, il principale quotidiano belga, minacciando di “far saltare tutto in aria” se i giornalisti avessero continuato a dedicare ampio spazio alla stage di Parigi. Pronta, ed inevitabile, l’evacuazione. Il direttore della redazione, Didier Hamann mi è sembrato preoccupato ma determinato, come i sui colleghi, a non piegare la schiena, nemmeno di fronte alle minacce.
Nello stesso pomeriggio migliaia di bruxellois affollavano le vie del centro con una marcia pacifica di solidarietà per Charlie Hebdo. Migliaia di donne, uomini, bambini e anziani. A Bruxelles la comunità di origine araba, di prima, seconda e anche terza generazione, è enorme. In interi quartieri rappresenta la maggioranza, e gran parte di loro sono di fede musulmana. Peccato che alla manifestazione di domenica, questa comunità fosse davero scarsamente rappresentata.
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