Tutti ormai ricordano che la grande crisi europea è iniziata nel 2011 quando la Grecia, finita sull’orlo del default a causa dell’eccessivo indebitamento (e del “cappio” costituito dallo stretto e inestricabile legame con l’euromoneta) ha dato il via alla recessione europea (non in termini “tecnici”, ma sostanzialmente in termini anche peggiori di una “semplice” recessione economica).
A parlare di questa eventualità è il prestigioso magazine americano Bloomberg Businesweek nell’articolo dal titolo “As Grece goes, so goes the euro” (Se la Grecia se ne va, l’euro la segue) dove viene messo in evidenza il forte pericolo di contagio ad altri paesi europei che la vittoria dei partiti contrari all’austerità e all’euro potrebbero provocare, in caso di vittoria, nelle prossime elezioni in Grecia (che si terranno il prossimo 25 gennaio).
Questo fatto, non sicuro ma abbastanza probabile, visti i sondaggi e le dichiarazioni dei leader politici favoriti, provocherebbe un mezzo terremoto in tutto il mercato europeo, benché molti leader europei, incluso la Merkel, minimizzino l’importanza di una eventuale tale decisione, sia per l’esigua entità dell’economia greca, rispetto al volume complessivo europeo, sia per l’attuale ridotto volume del debito greco rispetto a quello che nel 2009 ha cominciato a provocare diversi “mal di pancia” in tutto il sistema bancario europeo e internazionale.
Quello che preoccupa oggi quindi non è tanto la possibilità che la Grecia, uscendo dall’euro, chieda anche una ristrutturazione del suo debito (come fece l’Argentina dopo il suo default del 2002), ma che l’uscita della Grecia provochi una reazione a catena da parte di altri paesi pesantemente colpiti da questa lunga recessione e dalle correlate (e inopportune) troppo severe politiche di austerity imposte a tutta la Comunità Europea.
La storia si ripete purtroppo anche in termini di propaganda negativa, infatti è nello stesso articolo di BBW (v.sopra) che si legge letteralmente “Investors may be driven to short the bonds of Italy, Portugal, or Spain—no matter how strong the economic or political arguments against their leaving the currency union—pushing borrowing costs to levels they can’t afford.” (Gli investitori potrebbero essere tentati a fare operazioni al ribasso sulle obbligazioni di Italia, Portogallo, Spagna, senza nessuna importanza alla loro posizione economica o politica in relazione alla loro possibile uscita dalla moneta comune, spingendo il loro costo di raccolta ad un livello insostenibile).
Questo paragrafo mette in evidenza la “spada di Damocle” sulla testa dei paesi europei minacciati dalla grande coalizione internazionale degli speculatori d’alto livello (altro che “investors”!) che non aspettano altro che occasioni come questa per scatenare di nuovo l’inferno che abbiamo già visto alla fine del 2011 e inizio 2012, quando lo spread trai i bonds italiani e quelli tedeschi viaggiava a 800 punti e oltre.
Non dimentichiamoci che è esattamente con questa “scusa” che nel 2011 e’ stato fatto cadere il governo Berlusconi dopo avergli fatto firmare le prime regole che avviavano le politiche di austerità (poi attuate dal governo Monti e successivi).
Ma è proprio vero che non si può far niente? Certo che si può fare! Non è mica scritto nella Bibbia che le operazioni short debbono essere lasciate libere e legali, si possono regolare a certe condizioni o, meglio ancora, eliminare del tutto.
Cosa è una operazione short? E’ una operazione dove lo speculatore si fa prestare in grande quantità per un periodo limitato di tempo da una banca, che li ha in deposito, dei titoli di proprietà di altri investitori. Quindi li vende ad un prezzo nettamente inferiore a quello corrente nel mercato, innescando una reazione al ribasso di quel titolo in tutto il mercato, quindi li ricompra, talvolta anche nello stesso giorno, ad un prezzo notevolmente inferiore a quello della sua originaria vendita, e chiude così l’operazione facendoci un ottimo guadagno.
E’ da notare che tutta l’operazione “short” viene fatta coi risparmi di altri investitori, non coi soldi propri dello speculatore, che è tenuto solo a fornire garanzie nell’eventualita’ che lui incorra in una perdita e a pagare alla banca le relative commissioni. Perciò il guadagno che fa lo speculatore corrisponde esattamente alla perdita che subiscono i poveri risparmiatori che di queste cose non se ne intendono.
Per evitare tutto questo è sufficiente proibire le cosiddette “vendite allo scoperto”. Chi vuole vendere dei titoli se li compri prima con i suoi soldi!
I regolatori (cioè i politici che si occupano di queste cose) dicono che le operazioni “short” sono utili a far riprendere piu’ in fretta le valutazioni reali dei titoli quando si è venuta a formare una bolla nel mercato. In parte è vero, ma in questo modo a pagare la bolla sono gli ignari investitori, mentre gli speculatori trovano ulteriori occasioni di guadagnare (insieme ai politici che li sostengono).
E’ un furto legalizzato che deve terminare al più presto.
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