Scuola

Università: tassa lo studente e assumi il professore

A fine dicembre è stato reso noto dal Miur (Ministero Istruzione Università e Ricerca) il decreto sulla ripartizione delle risorse per il turn-over (misurate in “Punti Organico”, 1 PO= 1 professore ordinario). La questione sembra molto tecnica e interna al mondo accademico, ma in realtà questo provvedimento può avere conseguenze devastanti sul diritto allo studio e sulle tasse universitarie. Con i pensionamenti, le risorse tornano al Miur che li ridistribuisce. All’inizio di ogni anno il Miur ne assegna a ogni ateneo una certa quantità. Tuttavia c’è un limite globale a livello di sistema universitario al turn-over: per il 2014 solo il 50%. In pratica, per ogni due professori che vanno in pensione, se ne potrà assumere solo uno, ma non necessariamente nello stesso ateneo. Esiste una logica dietro tutto questo? È come se si rimpiazzassero due vigili andati in pensione a Milano con un vigile a Napoli!

Ovviamente, ogni ateneo cerca di accaparrarsi più risorse possibili a scapito degli altri. Quali hanno beneficiato maggiormente e chi ha perso di più? Secondo la tabella che segue, Catanzaro conquista la palma d’oro grazie a un turn-over del 528% (contro una media del 50%), seguito dalla Scuola Sant’Anna di Pisa (ove era rettore l’ex ministro Maria Chiara Carrozza) e l’università “Foro Italico” di Roma (427%). Casualmente, anche le università degli altri rettori-ministri non se la passano male: il politecnico di Torino (ove era rettore il ministro Profumo) raggiunge un turn-over dell’81% mentre la Scuola per stranieri di Siena (ove era rettore l’attuale ministro Giannini) il turn-over del 79%. Di contro, le grandi università del centro sud come Roma-Sapienza (33%) e Federico II di Napoli (28%) sono quelle che lasciano alle altre il maggior numero di risorse, e ironicamente sono due atenei considerati “virtuosi” secondo i parametri economici del ministero.

Chi guadagna…

…e chi perde:

Su cosa sono basati questi risultati? In realtà non sull’efficienza economica oppure sull’eccellenza scientifica o didattica, ma piuttosto su un indicatore (Isef) nel quale a numeratore (sopra nella frazione) compare l’importo delle tasse universitarie. Quali saranno le conseguenze di questo sistema di ripartizione? Che si innescherà una folle corsa tra gli atenei per tassare gli studenti (il governo Monti ha tolto qualsiasi limite di tassazione verso i fuoricorso) e accaparrarsi il più possibile a scapito delle università che invece cercano di limitare le tasse per proteggere le classi meno abbienti. Inoltre, esiste un limite per legge alla tassazione studentesca, che molti atenei hanno invece superato. Il ministro, anziché vigilare ed intervenire come suo preciso dovere invece ha premiato questi atenei e punito quelli che hanno rispettato la legge! È da ribadire che i prossimi aumenti delle tasse non comporteranno alcun servizio in più agli studenti, ma semplicemente la possibilità di rimpiazzare una parte dei docenti pensionati.

È facile prevedere nei prossimi mesi una serie di manifestazioni contro i più che probabili aumenti delle tasse, innescati da questo decreto. Le tasse universitarie sono nel nostro Paese già tra le più alte d’Europa. Ha senso “premiare” gli atenei che le alzano ulteriormente a scapito di quelli che invece cercano di garantire il diritto allo studio a più persone possibili?