Il mondo FQ

Charlie Hebdo, i killer e le matite: una visione di gruppo

Icona dei commenti Commenti

Per parlare della libertà di espressione, così oltraggiata e al contempo osannata in questi giorni, voglio fare rifermento a un paio di concetti che ben conosce chi si occupa di psicoanalisi di gruppo, secondo il modello di W. R. Bion prima e dopo di Francesco Corrao e suoi successori.

Ci sono due elementi fondanti in un gruppo:
• La prima è la funzione autointerpretante del gruppo. Parolone difficile, che semplificato significa che ogni partecipante al gruppo parla a pieno titolo di quanto sta accadendo nel gruppo e può cogliere e dire, talvolta anche meglio del conduttore, la questione più pregnante e significativa, emotivamente attiva, in quel momento.
• La seconda è la funzione del conduttore, del terapeuta, che è di garantire e sostenere un buono spirito di gruppo, necessario per lavorare sul compito che il gruppo si è dato. Semplificando, anche se uno se le aspetta, le risposte, se mai verranno, non verranno esclusivamente dall’esperto.

Mi sono tornati in mente questi due concetti, consueti per me nella clinica con i gruppi, interrogandomi su questi tragici eventi e leggendo gli articoli di alcune delle Costituzioni più evolute, figlie del pensiero illuministico occidentale, sull’uguaglianza e la libertà di parola. In fondo, se ci pensate, l’affermazione della libertà di parola, corrisponde al primo degli elementi fondanti il gruppo: chiunque può dire il pensiero appropriato per quel momento. Come se il legislatore andando a sancire la libertà di parola, e quindi di pensiero, avesse intuito che le risposte ai problemi dell’esistenza possono venire da chiunque, e che pertanto la libertà di pensare e di dire debba essere garantita.

Manifestazione a Parigi Charlie Hebdo

E qui è chiaro che è lo Stato che si incarica di garantire e sostenere un buono spirito di gruppo, che permette al grande gruppo dei cittadini di lavorare allo sviluppo e al benessere personale e sociale.

Cosa è accaduto allora in Francia? Perché qualcuno ha parlato, scritto, disegnato e qualcun altro ha pensato di rispondere con gli spari e l’uccisione? Perché appartengono a gruppi diversi.

I disegnatori a un gruppo “di pari” (la Francia) che non solo tollera la diversità, ma la alimenta come fonte di un possibile nutrimento. I killer a un gruppo in “assunto di base” in cui l’unico valore è l’omogeneità di pensiero utile a coagulare il gruppo e ad impedirne ogni sfaldamento. La globalizzazione, parola passpartout di questo inizio di secolo, unifica i mercati ma non i gruppi e il loro funzionamento. Per divenire un gruppo globale occorrono regole condivise di scambio (emotivo), di valuta (morale), di dogana (verbale) e soprattutto la voglia di “fare gruppo”.

Oggi, sembra tanto una chimera.

di Giusy Cinquemani

Resta in contatto con la community de Il Fatto Quotidiano L'amato strillone del Fatto

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione