Seconda parte (il paradosso di Voltaire)
Come uscire dalla rappresentazione demonizzante dell’Occidente che sostiene e alimenta la legittimazione politica dell’islamismo? Negando gli orrori del colonialismo? No. Di quegli orrori ce ne dobbiamo far carico pienamente e senza sconti, ma dobbiamo e possiamo evitare che schiaccino completamente la nostra coscienza: abbiamo il diritto di non farci annichilire totalmente da una responsabilità che comunque dobbiamo affrontare. Anche qui se ne esce con l’“anche”. Se ne esce rilevando che l’imperialismo non è solo un vizio dell’Occidente, ma anche di alte civiltà, compresa quella islamica, la cui storica pulsione imperialista non si è realizzata (finora) con la dirompenza che ha caratterizzato la vicenda occidentale, più per incapacità tecnica di dominio che per volontà di pacifica convivenza.
Chi “non ha potuto” e chi “non è riuscito” non si può nobilitare con il blasone di chi “non ha voluto”. E qui dobbiamo renderci conto che quello di oggi è un imperialismo islamista che si sta manifestando globalmente con una ferocia inaudita, e che ci ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, che non esiste solo l’imperialismo occidentale. Soprattutto se ne esce sottolineando che la storia dell’Occidente non è unicamente una storia di sfruttamento economico-coloniale, ma anche una storia di emancipazione tecnico-scientifica dei cui aspetti positivi ha beneficiato l’intero pianeta. Una storia immersa in una perenne e costitutiva dialettica tra dominio e liberazione, che non può essere ideologicamente appiattita e vilipesa in termini di mera tirannia. Così come ci dobbiamo vergognare di alcuni momenti della nostra storia, possiamo andar fieri di altri. Dobbiamo imparare a tenere insieme il dovere della penitenza con il diritto all’orgoglio.
Se ne esce perciò notando che, a voler restar schiacciati in una certa semplificazione contabile della storia, per correttezza, alla lista delle centinaia di milioni di morti del colonialismo e delle guerre andrebbe allora aggiunta la lista dei miliardi di viventi generati dalla diffusione, tra quelle genti sfruttate, delle innovazioni igienico sanitarie, alimentari e tecnologiche occidentali. Se ne esce comprendendo che, proprio per un effetto perverso derivato da un uso malsano di questo non riconosciuto dono di vita, negli ultimi decenni le popolazioni del Sud del mondo hanno imboccato la strada di una crescita demografica catastrofica; e, proprio a partire da questo, il loro disagio sociale contemporaneo non è solo colpa dell’Occidente ma anche una responsabilità loro. In tal senso se ne esce nella consapevolezza che se il Nord del mondo è appeso a un progresso che non ce la fa più ad andare avanti e sta divorando il pianeta per gli effetti collaterali dei suoi consumi, il Sud del mondo sta divorando il pianeta a causa di una natalità apocalittica che ci ostiniamo a omettere dalle variabili che mettono a rischio la nostra specie: se ne esce comprendendo che tutti abbiamo responsabilità, seppur distanti, sulla sostenibilità del futuro dell’umanità.
Poi, è vero, se ne esce anche smettendola con il malconcio protrarsi dell’atteggiamento imperialista che, per nostro beneficio e per nostra disgrazia, ancora seguitiamo variamente a praticare in molte parti del mondo, tra cui il Medio Oriente, alimentando i pretesti per l’odio che oggi ci invade (dove, ammettiamolo tutti, il paradosso di voler imporre dall’alto la democrazia con la forza si è rovesciato nel problema di ritrovarci infiltrati dal basso da una teocrazia pulviscolare).
Se ne esce se la sinistra occidentale capirà che l’islamismo è più pericoloso della destra occidentale; che è il momento di finirla con le ripicche, con l’esasperazione delle colpe occidentali e la xenofilia da salotto praticata da una piccola borghesia alternativa che, mentre si sforza in ogni modo di demonizzare l’Occidente, il Cristianesimo, il capitalismo, trova ogni volta tutte le ragioni per perdonare, comprendere o giustificare più o meno direttamente gli orrori del terrorismo islamista con spiegazioni antimperialiste stimolate dalla sotterranea suggestione di una parentela anticapitalistica con l’orizzonte islamista (non a caso chi afferma “questo non è l’Islam”, fino ad arrivare a sostenere che dietro l’islamismo non ci sia nient’altro che una regia americana, si appassiona costantemente nell’esecrazione del Cristianesimo). Questo paradossale lusingare gl’intolleranti – stando accomodati sui benefici di una tolleranza di cui, mentre ci protegge, si possono vilipendere le pecche reali o immaginarie – poggia su una xenofilia generata come riflesso dell’autoflagellazione costantemente concettualizzata da molte parti dell’intellighenzia progressista. Si tratta di una più o meno consapevole degenerazione, dove la grande conquista culturale del poter criticare la società in cui si vive si perverte in odio cieco rivolto contro noi stessi. Una degenerazione che oggi vede il suo capitolo più recente e pervasivo in un’ideologizzazione della critica postcoloniale che riduce l’Occidente all’immagine di una malvagia entità null’altro che sfruttatrice, di cui salvificamente liberarsi.
Va però ricordato che la demonizzazione dell’Occidente ha radici tanto lontane nel tempo quanto geograficamente vicine: germoglia nell’Ottocento proprio in Occidente con il pensiero antimoderno del romanticismo tedesco, per approdare in Medio Oriente nel corso del Novecento passando per la Russia e il Giappone (in un percorso dove, attraverso la similitudine dei concetti di “idolatria” e “feticismo delle merci”, si assiste a un avvicinamento tra Islam fondamentalista ed elementi di marxismo). Va inteso che c’è una continuità, un habitat culturale dove, a partire da queste origini, e attraversando una vasta nebulosa intellettuale – che passa per episodi come quello delle feroci parole di Sartre contro l’Occidente per presentarci la rabbia di Fanon, o dell’imbarazzante abbaglio di Foucault che esaltò la rivoluzione dell’ayatollah Khomeini che lo avrebbe messo a morte per la sua omosessualità – si è creato il bacino di senso comune che oggi porta molte persone a una più o meno esplicita posizione filoislamista in nome del pluralismo, del multiculturalismo, dell’integrazione, dell’antirazzismo e via dicendo; il tutto dentro esistenze che l’islamismo gli negherebbe tout court. E’ per questo che, se si seguiterà a confondere la critica sociale con l’odio antioccidentale, si finirà con il mantenere sulle nostre piazze una mandria sparpagliata di cavalli di Troia.
Se ne esce se ci accorgiamo che se la xenofobia è un’aberrazione cognitiva che pretende di rappresentare l’Altro sempre e solo come minaccia a partire da stereotipi negativi, la sua aberrazione rovesciata è la xenofilia, che immagina illusoriamente l’Altro sempre e solo come risorsa a partire da stereotipi positivi. Se ne esce se ci rendiamo conto che dall’ignoranza non viene solo il razzismo, ma anche la xenofilia; perché lo straniero è, in quanto umano, proprio come noi: buono ma anche cattivo, a seconda delle circostanze, delle necessità, dei valori, delle convenienze, delle possibilità e delle costrizioni che lo riguardano. Se ne esce se capiamo che se il razzismo si combatte con l’antirazzismo, la xenofobia non si combatte con la xenofilia.
Se ne esce se ci rendiamo conto che il multiculturalismo all’acqua di rose (e quindi radicale) ha fallito. Ha fallito per una questione logica, prima che politica: così come qualsiasi insieme non può includere la sua negazione, la democrazia (o ciò che ci sforziamo di chiamare con questo nome) ha bisogno di escludere dal suo dispositivo ciò che non è democrazia.
Se ne esce se notiamo il paradosso insito in un aforisma attribuito a Voltaire ed elevato a slogan dell’Illuminismo. Quel celebre “non condivido la tua idea ma darei la vita perché tu la possa esprimere” vale fino a un certo punto, prima di rivelarsi una nociva sciocchezza: vale finché l’idea dell’Altro non diventa “o condividi la mia idea che non si possono condividere altre idee oltre la mia, o ti ammazzo”. Se la tolleranza dell’illuminismo taroccato dai buonisti si barda dell’ingenuità dell’essere incondizionata e arriva a farne una virtù, la tolleranza dell’illuminismo dei filosofi sa che le buone maniere si fermano al confine con gl’intolleranti (un confine problematico, scivoloso, sfocato e disseminato di specchi, ma pur sempre un confine).
In questa tempesta di fanatismo assistiamo sotto shock a un crescendo di orrori sempre più indicibili, dove in Africa in nome della religione si è giunti a imbottire delle bambine di esplosivo. Le premesse culturali per uscire da quest’incubo si porranno solo se tutto il mondo, a partire da quello dell’Islam, si renderà pienamente conto – senza se e senza ma – che, dal momento in cui eleva la morte a principio palingenetico, l’islamismo è come il nazismo: un male assoluto.