Un collettivo di registi per un racconto lucido, di poche parole. Un giorno solo e tante immagini quasi fotografiche, di vita, compone il puzzle di piccoli quotidiani che si muovono a Gaza City: una giovane giornalista televisiva, marinai, una crew di ragazzi appassionati di parkour e altri che si raccontano con il rap
Praticare il rap in pubblico è vietato nella Striscia di Gaza. Ma anche allontanarsi in barca giusto per raggiungere acque più profonde e pescose può essere punito anche con i proiettili in una zona circondata da muri di cemento. Così l’inatteso e misterioso spiaggiarsi di centinaia di mante fa improvvisare un mercato del pesce in riva allo stesso Mediterraneo che noi altri conosciamo meglio per le vacanze tra sole, ombrelloni e mode del momento. L’infelice oasi islamica compressa tra Egitto e Israele che siamo abituati a guardare in tv nei servizi sulla conta dei morti dopo un attentato o una rivolta, dall’obiettivo dei videomakers del collettivo Teleimmagini emerge in questo doc come testimonianza di audaci sconosciuti nel seguire pacificamente l’istinto, le passioni e i doveri della vita.
I registi Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa e Andrea Zambelli non scelgono di mostrarci rivolte, sangue, funerali o bandiere strappate, ma i volti determinati di persone in lotta contro condizioni avverse. Così Noor Harazeen, mezzobusto in chador di una tv locale, durante un servizio in esterna trova le sue belle difficoltà per evitare i rumori di fondo, mentre il tenace fotografo Moemen vive una manifestazione pacifica per coglierne gli scatti migliori. L’ex-calciatore della Palestina Salem allena ragazzini e ricorda i tempi del professionismo in uno stadio accartocciato da bombe e proiettili, invece i fratelli Antar e Majd si rifugiano con due amici in un casotto abbandonato in riva al mare per scambiarsi freestyle pizzicando corde di chitarra.
La novità più forte è il racconto di pace dove la guerra è confinata a cicatrici e mutilazioni urbane. Echi di spari lontani, valichi sorvegliati dai soldati israeliani, barche e stadi crivellati e macerie alternate a cantieri per una Gaza City che finalmente respira, può ascoltare il canto del muezzin dai minareti, pascola le sue pecore, raccoglie ortaggi ai confini del deserto, informa da un Tg locale, canta con una chitarra in mano o salta acrobaticamente tra i suoi ruderi. In particolare sono il parkour e le mante spiaggiate a regalare a Striplife – Gaza in a day i momenti più simbolici. La visione quasi onirica dei larghi pesci che vengono puliti sulla sabbia, le loro carni sciacquate nel nostro mare calmo inumidito dalla foschia dell’alba e il dinamismo atletico e metropolitano dei saltatori di parkour in una città fantasma sono lo straordinario che si fonde all’ordinario. L’occhio onesto del collettivo non cerca intrecci più o meno artefatti tra le sette microstorie, né un nesso morale o un tema conduttore. Le loro telecamere se ne stanno appollaiate come uno stormo di uccelli a riposo, attentissime, su una terra che tutti vediamo soffrire spesso e distrattamente, ma che in pochissimi conoscono o immaginano al di là di servizi sulla sciagura di turno.
Premiato con menzioni speciali in diversi Festival internazionali tra i quali il Torino Film Festival, il doc rende giustizia a quel cinema d’osservazione antropologica scevro dagli ormai consueti racconti in prima persona all’obiettivo, arricchito da una fotografia che cattura i colori del reale con luce naturale e incisiva. Né pretenzioso, né artefatto. Distribuito da Lab 80, verrà inizialmente proiettato in poche città, tra le quali, Roma, Milano, Mantova, Pisa e Prato dal 15 gennaio. Ma se il passaparola agirà come a volte accade per piccoli gioielli come questo non c’è dubbio che ne sentiremo ancora parlare.
Il trailer di Striplife