Una delle notizie di oggi è che la Sottosegretaria allo Sviluppo economico Simona Vicari e il Sottosegretario al Miur (ndr) Gabriele Toccafondi nel mezzo dei problemi che questo Paese sta passando, hanno comunque stoicamente trovato il tempo di dedicarsi ad una vicenda che attenta a “L’identità e i valori del popolo italiano“. Tanta solerzia però non riguarda per la Vicari la drammatica questione legata alle piccole medie imprese italiane che chiudono o agli artigiani ormai in estinzione (affari su cui la Vicari ha ricevuto deleghe specifiche da parte del ministro del governo Renzi Federica Guidi).
Così come per Toccafondi (nomen omen) a togliergli il sonno non è certo lo stato pietoso in cui versa il sistema di istruzione e formazione tecnica e professionale e la digitalizzazione del sistema educativo (anche qui delegato a questi compiti dal ministro dell’Educazione Stefania Giannini). No signori…i due sottosegretari ci tengono invece a denunciare il marchio Tiffany per pubblicità ingannevole. L’accusa: lo sconosciuto marchio è colpevole di volersi far notare, architettando una campagna pubblicitaria con una coppia di omosessuali intenti a regalarsi degli anelli.
Questi due partigiani dei nostri valori ci tengono poi a giustificare orgogliosi la loro indignazione precisando che ad oggi non c’è nessuna possibilità per le coppie omosessuali di essere regolamentate al pari di quelle eterosessuali. Ciò che colpisce non è la totale idiozia dell’azione di questi due impiegati dello Stato che bighellonano con questioni così fondamentali. Quello che lascia basiti è l’ostentazione di un fatto gravissimo che dovrebbe essere fonte di enorme vergogna per loro. Ovvero del fatto che il governo al quale appartengono non ha ancora mosso un dito per allineare “i valori Italiani” (di cui loro sicuramente hanno il copyright) a quelli di un’Europa che ci deve costringere a riconoscere a cittadini italiani dei fondamentali diritti civili. Perché il nostro governo, da solo, non lo farebbe mai.
→ Sostieni l’informazione libera: Abbonati o rinnova il tuo abbonamento al Fatto Quotidiano