“A parità di altre condizioni, i flussi indirizzati verso i cosiddetti ‘paradisi fiscali‘ sono di circa il 36% più elevati di quelli verso gli altri Paesi esteri”. A rivelare il dato, che ha del clamoroso, è stato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie, citando quanto emerge dallo studio sui bonifici verso i Paesi a rischio frutto della collaborazione tra la Unità di informazione finanziaria e il dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia. Questo “indice di anomalia”, ha detto Visco, “risulta positivamente correlato sia con i tassi di criminalità legati ai furti e al traffico di droga nella provincia di origine del bonifico, sia con misure del rischio di riciclaggio e di opacità della legislazione finanziaria nei paesi di destinazione”.
“L’impatto economico più significativo della criminalità non consiste tanto nel valore di quanto prodotto attraverso attività criminali, ma, con effetti di ben più lungo periodo, nel valore di quanto non prodotto a causa delle distorsioni generate dalla diffusione della criminalità”. “Un contributo alla creazione di un contesto più orientato alla legalità”, secondo il numero uno di via Nazionale, “può venire da incentivi specifici, come potrebbe diventare il rating di legalità”. Il riferimento è alle disposizioni del decreto ministeriale del Tesoro emanato il 20 febbraio 2014, in base al quale le banche devono “tener conto del rating nel concedere prestiti” e “trasmettere a Banca d’Italia entro il 30 aprile una relazione relativa ai casi in cui il rating non ha influito sulle modalità di concessione del credito”. “Abbiamo incluso – ha ricordato Visco – l’osservanza delle disposizioni tra gli elementi che devono essere considerati nell’analisi qualitativa del profilo di rischio di credito dell’intermediario”.
Visco ha poi ricordato che le stime “che si basano sulla quantità di moneta in circolazione suggeriscono che l’economia illegale in Italia, nel quadriennio 2005-2008, potrebbe pesare per oltre il 10 per cento del Pil”, come confermato dall’Istat che lo scorso autunno ha inserito nelle stime del prodotto interno lordo anche i proventi da attività illegali.